Una
sera il vecchio miliardario volle che cenassi con lui e la sua famiglia e mi
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il vecchio miliardario volle che cenassi con lui e la sua famiglia e mi invitò
in uno dei famosi ristoranti di Wellington Street, quelli coi maialini di latte
arrostiti appesi all’ingresso a sgrondare il grasso e, esposte sulla strada
come fossero acquari, le vasche di vetro con dentro, vivi, i migliori pesci,
gamberi e aragoste ad aspettare che un cliente, passando, dica: “Quello!” e
la bestia venga pescata e cotta secondo l’ordinazione.
Non è vero, come sostengono alcuni, che sia stata la Bibbia col suo divino
invito all’uomo a moltiplicarsi nel mondo su cui lui, solo lui, ha “il
dominio” a creare la violenza carnivora della razza umana. I cinesi sono
arrivati alla stessa violenza senza la Bibbia, e per millenni questa di cucinare
con raffinata tortura ogni animale è stata parte della loro cultura, una parte
fra l’altro che nessun regime e nessuna ideologia politica hanno mai osato
sfidare.
Guardavo quei bei pesci muoversi nell’acqua, guardavo i maialini appesi agli
uncini e pensavo a come, a parte la miseria e la fame, l’uomo ha sempre
trovato strane giustificazioni per la sua violenza carnivora nei confronti degli
altri esseri viventi. Uno degli argomenti che vengono ancora oggi usati in
Occidente per giustificare il massacro annuo di centinaia di milioni di polli,
agnelli, maiali e bovi è che per vivere si ha bisogno di proteine.
E gli elefanti? Da dove prendono le proteine gli elefanti?
L’argomento
con cui un amico cercò di convincere Gandhi ad abbandonare la tradizione
ortodossamente vegetariana della sua famiglia fu dello stesso tipo. Gli disse
che gli inglesi erano capaci con pochi uomini di dominare milioni di indiani
perché mangiavano carne. Questo li rendeva forti. Il solo modo di combatterli
era di diventare carnivori come loro. Una notte allora i due amici vanno in riva
al fiume e per la prima volta Gandhi mangia un boccone di carne di capra,
tradendo così la fede dei suoi genitori e della sua casta. Ma sta malissimo.
Non digerisce e ogni volta che cerca di addormentarsi gli pare di sentire nello
stomaco il belare della capra mangiata, come racconta nella sua autobiografia.
In tutta la sua vita Gandhi non toccò più un pezzo di carne, neppure nei suoi
anni da studente in Inghilterra dove tutti gli dicevano che senza carne non
avrebbe potuto resistere al freddo. Io, per cultura, non mi ero mai chiesto se
ero vegetariano o meno. A casa mia, da ragazzo, mangiar carne era normale, se
potevamo permettercela. Succedeva di solito alla domenica. Quando Angela (sua
moglie ndr) e io arrivammo in India nel 1994 eravamo ancora tutti e due
carnivori e per un po’ continuammo a esserlo.
Una
volta alla settimana un musulmano si presentava alla porta di casa con una
impeccabile valigia dalla quale tirava fuori dei pacchi sanguinolenti con
filetti e bistecche di manzo. Poi un giorno Dieter, l’amico fotografo tedesco,
indicandomi per strada un branco di vacche attorno a un deposito di spazzatura,
intente a mangiare sacchetti di plastica, scatole di cartone e giornali, disse:
“Ecco quel che mangi con la bella carne del tuo musulmano. E pensa al piombo
di tutta quella carta stampata!” Aveva assolutamente ragione. Pur
permettendosi di macellare le mucche che gli Indù ritengono sacre, il nostro
musulmano non aveva certo uno speciale pascolo di erba fresca dove mandare le
sue vittime e quel che ci portava erano pezzi delle malaticce mucche di strada
alimentate di rifiuti.
La
molla a smettere fu quella. Poi, col passare del tempo, mi sono reso conto che,
non considerandoli più come cibo, cominciavo a guardare gli animali
diversamente da prima e a sentirli sempre di più come altri esseri viventi, in
qualche modo parte della stessa vita che popola e fa il mondo. La sola vista di
una bistecca ormai mi ripugna, l’odore di una che cuoce mi dà la nausea e
l’idea che uno possa allevare delle bestie solo per assassinarle e mangiarsele
mi ferisce.
Il modo perfettamente “razionale” in cui noi uomini alleviamo gli animali
per ucciderli, tagliando la coda ai maiali perché quelli dietro non la mordano
a quelli davanti, e il becco ai polli perché, impazzendo nella loro
impossibilità di muoversi, non attacchino il vicino, è un ottimo esempio della
barbarie della ragione.
Ma anche la verdura è vita! mi sento dire dagli accaniti carnivori, sordi a
ogni argomento, come se a cogliere un pomodoro si facesse soffrire la pianta
come a strozzare un pollo, o come se si potesse ripiantare una coscia
d’agnello nel modo in cui si ripianta il cavolo o l’insalata. Le verdure
sono lì per essere mangiate. Gli animali no! Il cibo più naturale per l’uomo
è quello prodotto dalla terra e dal sole.
Il miliardario non arrivava. Io guardavo i maialini e chiedevo, tra me e me, a
chi li avrebbe mangiati: “Avete mai sentito le grida che vengono da un
macello?” Bisognerebbe che ognuno le sentisse, quelle grida, prima di
attaccare una bistecchina. In ogni cellula di quella carne c’è il terrore di
quella violenza, il veleno di quella improvvisa paura dell’animale che muore.
Mia nonna era, come tutti, carnivora, se poteva, ma ricordo che diceva di non
mangiare mai la carne appena macellata. Bisognava aspettare. Perché? Forse i
vecchi come lei sapevano del male che fa mettersi in pancia l’agonia altrui.
Perché quella che chiamiamo eufemisticamente “carne” sono in verità pezzi
di cadaveri di animali morti, morti ammazzati. Perché fare del proprio stomaco
un cimitero?
Angela continua a mangiare carne, se le capita. Per me è impossibile. Ma non è
più una questione di salute, di non ingurgitare il piombo dei giornali ruminati
dalle vacche di strada. E’ un problema di morale. Ecco un piccolo, bel modo
per fare qualcosa contro la violenza: decidere di non mangiare più altri esseri
viventi…>>
Tratto
da:
italy.peacelink.org
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