La dieta a base di carne produce costi che vanno ben oltre ciò che si paga al
ristorante o dal macellaio. La rivoluzione dell'alimentazione tende a provocare
un forte impatto nelle zone coltivate a cereali, in termini di erosione del
suolo e altre forme di deterioramento della terra.
La domanda di nuovi pascoli da destinare a bestiame può inoltre arrivare a
pesare in modo determinante sulle foreste e sugli habitat naturali. A ciò si
aggiunga che il bestiame può essere ecologicamente molto costoso in termini di
gas serra. I bovini e gli altri ruminanti generano metano nella misura di un
sesto delle emissioni globali, una frazione che probabilmente è destinata a
salire parallelamente all'incremento dei consumi di carne.
Vanno inoltre considerati anche i rifiuti organici dell'allevamento, che giocano
un ruolo importante nell'inquinamento delle acque, nelle esplosioni algali e
nelle morie di pesci. Negli Stati Uniti l'inquinamento organico prodotto dalla
zootecnia è 130 volte maggiore di quello prodotto dalla popolazione umana. E al
primo posto di questa serie di problemi, vanno considerati anche gli effetti che
una dieta ricca di grassi e calorie esercita sulla salute: l'alimentazione
fondata sulla carne danneggia le arterie e può essere la causa di morte
prematura. Ci si dovrebbe gettare nelle scorpacciate di carne ricordando che
mangiando quel cibo si stanno mangiando in realtà anche cereali, perché molta
carne viene prodotta grazie ad essi. Il sistema di allevamento in feedlot
(ambiente confinato per l'allevamento intensivo del bestiame, ndt) sta prendendo
piede in Cina, Filippine, Brasile e nella maggior parte dei paesi
neoconsumatori. Dal momento che i pascoli sono stati sovrasfruttati in quasi
tutto il mondo, l'allevamento in feedlot diventerà sempre più significativo. E
infatti i dati dicono che è il sistema a più rapida espansione negli
allevamenti di molti paesi.
La Cina oggi destina quasi un quarto dei suoi cereali al bestiame, il Brasile e
l'Arabia Saudita più della metà. In nove dei venti paesi di nuovo consumo i
cereali trasformati in mangimi raggiungono i due quinti sul totale. Si tratta
certamente di quantitativi immensi per paesi in via di sviluppo, sempre
ricordando però che negli USA la quota è di due terzi. Nei due ultimi decenni
il Messico ha visto salire al 41% la percentuale di cereali destinati
all'allevamento.
Un chilogrammo di carne bovina prodotta in feedlot può richiedere 7 kg di
cereali, quella di maiale 4 kg e quella di pollo 2 kg, il che rende la carne
bovina molto più costosa delle altre. Il rapporto fra carne e cereali indica
che il feedlot è un metodo molto inefficiente per produrre proteine. Un campo
di un ettaro a cereali produce 5 volte più proteine dirette che proteine
indirette attraverso l'allevamento. Il manzo contenuto in un hamburger equivale
grossomodo a cinque filoni di pane.
Inconsapevoli di questo, i nuovi consumatori preferiscono mangiare carne che
avrà un forte impatto sui paesi che dipendono dai cereali che importano. In
Colombia le importazioni di cereali corrispondono a circa la metà del
fabbisogno totale, in Venezuela ai due terzi, in Corea del Sud, Malesia e Arabia
Saudita ai tre quarti. Dei 20 paesi, nove importano più di un quinto dei
cereali che sono loro necessari, e altri sei importano quantitativi
significativi (Cina, India e Pakistan ne importano relativamente pochi, mentre
Argentina e Thailandia sono buoni esportatori). Le Filippine importano il 27%
dei cereali che consumano, eppure riservano una quota analoga all'allevamento,
mentre per il Brasile le due percentuali sono rispettivamente del 21% e 54%.
Queste importazioni producono una pressione sui mercati cerealicoli
internazionali a danno dei paesi poveri che non possono affrontare prezzi alti.
Ma ciò che è peggio è che la pressione può aumentare fino a un certo punto,
dopo di che la produzione di cereali globale non è più in grado di soddisfare
la domanda.
Nel triennio 2000-2002 il raccolto mondiale è sceso al di sotto dei consumi,
portando le riserve cerealicole al livello più basso degli ultimi tre decenni.
La reazione è stata un incremento del 30% dei prezzi del grano e del mais. Nel
frattempo la popolazione mondiale è cresciuta di oltre 80 milioni di persone
l'anno, e la domanda mondiale di cereali è salita di 16 milioni di tonnellate
annue.
L'aritmetica dei cereali è la seguente. Il raccolto globale ruota attorno ai
1.900 milioni di tonnellate l'anno, di cui 340 milioni sono prodotti
rispettivamente sia in Cina che negli Stati Uniti, e 200 milioni in India. I
cereali commercializzati a livello mondiale ammontano a 300 milioni di
tonnellate annue, di cui 90 milioni provenienti dagli Stati Uniti (venduti o
donati a oltre 100 paesi). Molte nazioni e circa un miliardo di persone
potrebbero trovarsi gravemente minacciati dalla morsa del mercato. Il raccolto
globale di cereali del 2003 è stato inferiore ai consumi di ben 93 milioni di
tonnellate (nel 2001 di 16 milioni), facendo calare gli stock di riserva al
livello più basso degli ultimi 30 anni.
Ma torniamo alla Cina, che destina un quarto della sua produzione cerealicola al
bestiame: il doppio rispetto al 1980. Se il trend relativo alla carne
continuerà e se la crescita demografica di 8 milioni l'anno richiederà più
cereali come fonte diretta di cibo, la Cina potrebbe dover dipendere dalle
importazioni per un decimo dei suoi consumi (o forse due decimi), diventando il
principale importatore del mondo. L'India è un altro paese che non importa né
esporta cereali in quantità significative, ma entro il 2020 potrebbe trovarsi
ad affrontare una scarsità di granaglie pari a un quarto dei consumi previsti.
Questo la farebbe diventare il secondo importatore mondiale: in pratica, Cina e
India necessiterebbero di quasi il triplo dei cereali oggi esportati dagli USA.
A prescindere dagli aspetti economici delle importazioni, il consumo di carne va
analizzato anche sotto il profilo sociale. Grandi quantitativi di cereali per il
bestiame si traducono in una diminuzione di cereali per le popolazioni povere.
Un vegetariano consuma 200 kg di cereali l'anno, mentre una persona sottonutrita
ne consuma almeno 40 in meno. Soltanto un decimo degli 85 milioni di tonnellate
di cereali che la Cina ha destinato al bestiame nel 2000 è servito a migliorare
l'alimentazione dei suoi 120 milioni di sottonutriti (quasi il 20% della
popolazione). Nelle Filippine è sottonutrita una persona su cinque, ma nel 2000
quattro milioni di tonnellate di cereali hanno preso la via dell'allevamento del
bestiame: per risolvere le necessità alimentari di base dei 17 milioni di
malnutriti del paese ne sarebbe bastato un decimo.
Altri grandi importatori di cereali e consumatori di carne sono il Brasile (17
milioni di sottonutriti: 1 persona su 10), la Colombia (5,6, milioni di
sottonutriti: 1 persona su 8), e il Venezuela (quasi 5 milioni di sottonutriti:
1 persona su 5).
In particolare va osservato il ruolo internazionale degli USA, che esportano il
25% dei cereali prodotti e contribuiscono a un terzo di tutte le esportazioni.
Buona parte di questi cereali va agli allevamenti e non alle persone che
soffrono la fame. Il Governo statunitense ha incoraggiato per molto tempo,
attraverso i programmi di aiuto internazionale, l'espansione dei mercati dei
mangimi cerealicoli, proprio perché questi assorbissero le sue esportazioni.
Nel mondo, su cinque bambini affamati, quattro vivono in paesi caratterizzati da
surplus di alimenti, parte del quale è costituito da cereali destinati
all'allevamento.
Che cosa si deve prevedere per il futuro? Entro il 2020 (e rispetto al 1997) il
mondo in via di sviluppo - le cui popolazioni oggi risiedono per tre quarti in
17 paesi di nuovo consumo - aumenterà prevedibilmente del 50% la domanda di
cereali complessiva, del 39% la domanda di cereali per l'alimentazione umana,
dell'85% quella per l'allevamento, e del 92% la domanda di carne. Ciò
corrisponderà a un incremento di circa l'86% della domanda globale di cereali e
carne.
[da Peacelink - Tratto da: I nuovi consumatori
Paesi emergenti tra consumo e sostenibilità
Norman Myers, Jennifer Kent
© Copyright Edizioni Ambiente 2004]
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