La prossima volta che mangi una bistecca pensaci su.
Pensa alle foreste disboscate, al deserto che avanza, ai liquami che
filtrano nelle falde acquifere, all'anidride carbonica e al metano che
intrappolano il globo in una cappa calda. Sì perché ogni hamburger
equivale a 6 metri quadrati di alberi abbattuti e a 75 chili di gas
responsabili dell'effetto serra. Ma pensa anche alle tonnellate di grano e
soia usate per dar da mangiare alla tua bistecca. E non dimenticare che
840 milioni di persone nel mondo hanno fame e 9 milioni ne hanno tanta da
morirne. Il 70% di cereali, soia e semi prodotti ogni anno negli Usa serve
a sfamare animali. Non uomini. Mangiare meno carne o, perché no, non
mangiarne affatto, non è più solo un segno di rispetto per gli animali.
È una scelta sociale. Solidale con chi ha fame e con il futuro del
pianeta (è uno solo, piccolo e sovraffollato). Pena: l'avveramento della
profezia dell'economista Malthus che già due secoli fa ammoniva:
"Arriverà il giorno in cui la pressione demografica avrà esaurito
la capacità della terra di nutrire l'uomo". È questo il messaggio
che emerge dai dati sull'impatto ambientale ed economico
dell'alimentazione carnivora. E che sarà gridato a gran voce l'8 giugno a
Roma da tutti i sostenitori della Global Hunger Alliance durante il
vertice mondiale sull'alimentazione della FAO.
La Global Hunger Alliance.
Lo dice il nome, alleanza globale contro la fame, è una coalizione
internazionale non-profit che promuove soluzioni ecologiche ed
equo-solidali per risolvere il problema della fame nel mondo. Al suo
appello (lo trovate su www.ebasta.org oppure su www.progettogaia.org)
hanno aderito movimenti da 30 Paesi del Nord e del Sud del mondo.
Dall'Italia, vegetariani, ambientalisti e difensori degli animali si
associano con la campagna "Contro la fame un'altra alimentazione è
possibile" (www.novivisezione.org). Tutti in marcia per chiedere
all'Unione Europea di disincentivare gli allevamenti intensivi e mangiare
meno carne e alla FAO di scoraggiare il trasferimento della zootecnia
intensiva nei Paesi in via di sviluppo.
Ma eccoli questi dati che fanno, perlomeno, pensare.
Ogni volta che addentiamo un hamburger si perdono venti o trenta specie
vegetali, una dozzina di specie di uccelli, mammiferi e rettili. Dal 1960
a oggi, oltre un quarto delle foreste del Centro-America è stato
abbattuto per far posto a pascoli; in Costa Rica i latifondisti hanno
abbattuto l'80% della foresta tropicale e in Brasile c'è voluto
l'omicidio di Chico Mendes, il raccoglitore di gomma assassinato dagli
allevatori per una disputa sull'uso della foresta pluviale, per accorgersi
dell'esistenza di una "bovino connection". In Amazzonia la
foresta pluviale è stata fagocitata da 15 milioni di ettari di pascolo.
Eppure è in questo habitat che dimora il 50% di specie viventi e da qui
deriva un quarto di tutti i farmaci che usiamo. Dove prima c'erano
migliaia di varietà viventi ora ci sono solo mandrie. "Vacche
ovunque", scrive Jeremy Rifkin nel suo Ecocidio, Ascesa e caduta
della cultura della carne (Mondadori): "più di un miliardo di vacche
che pascolano nei cinque continenti". E deforestazione per creare
pascoli significa desertificazione. Dopo tre, al massimo cinque anni, il
suolo calpestato e divorato da milioni di bovini (ogni capo libero
ingurgita 400 chili di vegetazione al mese!) ed esposto a sole, piogge e
vento, diventa sterile e i ruminanti si devono spostare dissacrando altri
ettari di foresta. Ci vorranno da 200 a mille anni perché quel terreno
ritorni fertile. Ma non basta: un quarto delle terre emerse vengono usate
per nutrire il bestiame.
E che dire dell'acqua?
Quasi la metà dell'acqua dolce consumata negli States è destinata alle
coltivazioni di alimenti per il bestiame. È stato calcolato che un chilo
di manzo 'beve' 3.200 litri d'acqua. Il risultato è che le falde
acquifere del Mid-West e delle Grandi Pianure statunitensi si stanno
esaurendo. Non solo: l'allevamento richiede ingenti quantità di sostanze
chimiche tra fertilizzanti, diserbanti, ormoni, antibiotici. "Tutti
prodotti dalle stesse, poche, multinazionali che detengono il monopolio
dei semi usati per coltivare cereali e legumi destinati ad alimentare il
bestiame", fa notare Enrico Moriconi, veterinario e ambientalista,
nelle pagine del suo Le fabbriche degli animali (Edizioni Cosmopolis).
"Ogni anno in Europa", incalza Marinella Correggia, attivista
della Global Hunger Alliance e autrice, per la LAV, di Addio alle carni
(www.infolav.org), "gli animali da allevamento consumano 5 mila
tonnellate di antibiotici di cui 1.500 per favorirne la crescita". E
tutti vanno a finire nelle falde acquifere. Un dato italiano, che ci
riferisce Roberto Marchesini, docente di bioetica e zooantropologia,
autore di Post-human, in libreria in questi giorni per Bollati Boringhieri:
"Nel bacino del Po ogni anno vengono riversate 190 mila tonnellate di
deiezioni animali". Contengono metalli pesanti, antibiotici e ormoni.
Con quali conseguenze? Ricordate il problema delle alghe abnormi nel Mar
Adriatico? Marchesini parla di "fecalizzazione ambientale" e
Rifkin ci illumina sulla portata del problema riportando che un
allevamento medio produce 200 tonnellate di sterco al giorno. C'è
dell'altro: i bovini sono responsabili dell'effetto serra tanto quanto il
traffico veicolare del mondo intero. A causa dell'uso di petrolio (22
grammi per produrre un chilo di farina contro 193 per uno di carne), delle
emissioni di metano dovute ai processi digestivi (60 milioni di tonnellate
ogni anno), dell'anidride carbonica scatenata dal disboscamento.
Vogliamo riassumere?
È la stessa FAO a fornire un elenco agghiacciante dei problemi causati
dagli allevamenti intensivi: riduzione della biodiversità, erosione del
terreno, effetto serra, contaminazione delle acque e dei terreni, piogge
acide a causa delle emissioni di ammoniaca. E tutto questo per cosa? Per
quelle che Frances Moore Lappé, autrice di Diet for a small planet
definisce "fabbriche di proteine alla rovescia". Significa che
ci vuole un chilo di proteine vegetali per avere 60 grammi di proteine
animali. Non solo: "per produrre una bistecca che fornisce 500
calorie", spiegano gli autori di Assalto al pianeta (Bollati
Boringhieri), "il manzo deve ricavare 5 mila calorie. Il che vuol
dire mangiare una quantità d'erba che ne contenga 50 mila. Solo un
centesimo di quest'energia arriva al nostro organismo: il 99% viene
dissipata"... Usata per il processo di conversione e per il
mantenimento delle funzioni vitali, espulsa o assorbita da parti che non
si mangiano come ossa o peli. Il bestiame è dunque una fonte di
alimentazione altamente idrovora ed energivora, una massa bovina che
ingurgita tonnellate di acqua ed energia. E lo fa per nutrire solo il 20%
della popolazione globale del pianeta. Quel 20% che sfrutta l'80% delle
risorse mondiali. Per dare a quel 20% la sua bistecca quotidiana.
"Nel mondo c'è abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per
l'ingordigia di alcuni", diceva Gandhi. Ingordigia che ha raggiunto
livelli esorbitanti. "Dal Dopoguerra a oggi, in Europa, siamo passati
da circa 7-15 chili di consumo procapite all'anno a 85-90 (110-120 negli
States)", riferisce Marchesini. Secondo Moore Lappé le tonnellate di
cereali e soia che nutrono gli animali da carne basterebbero per dare una
ciotola di cibo al giorno a tutti gli esseri umani per un anno. E la FAO
conferma che se una dieta vegetariana mondiale potrebbe dar da mangiare a
6,2 miliardi di persone, un'alimentazione che comprenda il 25% di prodotti
animali può sfamarne solo 3,2 miliardi.
Ma c'è un problema.
La domanda di carne sta crescendo. Paesi come la Cina stanno abbandonando
riso e soia a favore di abitudini occidentali. Stiamo esportando il nostro
modello alimentare (o vogliamo chiamarlo colonialismo?). Secondo l'Ifpri
entro il 2020 la domanda di carne nei Paesi in via di sviluppo aumenterà
del 40%: questo significherà oltre 300 milioni di tonnellate di
bistecche. E raddoppierà, sempre nei Paesi in via di sviluppo, la domanda
di cereali per nutrire queste tonnellate di carne. Fino a raggiungere 445
milioni di tonnellate. Richieste incompatibili con la salute del pianeta e
con un equo sfruttamento delle risorse. Il manzo globale sta diventando
una realtà. Si chiama rivoluzione zootecnica: significa spostare nel Sud
del mondo la produzione di carne. La Banca Mondiale sovvenziona, in Cina,
l'industria dell'allevamento e della macellazione. Ma sbaglia: suolo e
acqua non bastano per sfamare il mondo a suon di bistecche e hamburger.
"Con un terzo della produzione di cereali destinata agli animali e la
popolazione mondiale in crescita del 20% ogni dieci anni", scrive
Rifkin, "si sta preparando una crisi alimentare planetaria".
Incalza Correggia: "è stato calcolato che l'impronta ecologica,
cioè il consumo di risorse, di una persona che mangia carne è di 4 mila
metri quadrati di terreno contro i mille sufficienti a un vegetariano. E
allo stato attuale, la disponibilità di terra coltivabile per ogni
abitante della terra è di 2.700 metri quadrati". Ancora: un ettaro
di terra a cereali per il bestiame dà 66 chili di proteine, che diventano
1.848 (28 volte di più!) se lo stesso terreno viene coltivato a soia. La
Global Hunger Alliance chiederà alla FAO di frenare l'avanzata carnea a
Sud opponendo le ragioni della resa energetica. Secondo la Correggia
bisogna "promuovere il miglioramento della dieta nelle aree povere,
ad esempio con una miglior combinazione degli alimenti, la produzione
locale di integratori a basso costo e il recupero di cereali e legumi
tradizionali molto più ricchi di quel trinomio riso-frumento-mais
(rigorosamente raffinati!) che ha conquistato il mondo".
Economia, ecologia e cibo per tutti si fondono.
Ambiente ed economia, del resto, sono legati dalla quantità di risorse
che la terra mette a disposizione di ciascun essere vivente. Se qualcuno
consuma di più c'è un altro costretto a digiunare. Naturalmente non è
così semplice. La fame nel mondo non è solo una questione di quantità
di risorse, ma di distribuzione. O meglio, con Marchesini "è una
questione di produzione, consumo e distribuzione insieme". Essere
vegetariani è una scelta personale, frutto di un percorso (certo, se
cominciassimo a ridurre quei 90 chili di carne all'anno...). Marchesini la
definisce una scelta di etica privata (etica pubblica, obbligo collettivo,
dev'essere, invece, l'attenzione al benessere degli animali). Ma essere
vegetariani è anche un atto di responsabilità e sensibilità sociale ed
ecologica. Scrive Rifkin: "milioni di occidentali consumano hamburger
e bistecche in quantità incalcolabili, ignari dell'effetto delle loro
abitudini sulla biosfera e sulla sopravvivenza della vita nel pianeta.
Ogni chilo di carne è prodotto a spese di una foresta bruciata, di un
territorio eroso, di un campo isterilito, di un fiume disseccato, di
milioni di tonnellate di anidride carbonica e metano rilasciate
nell'atmosfera"...
La prossima volta che decidi di comprare una bistecca pensa a tutto
questo.
Forse per quel giorno cambierai menu. E, chissà, sostituirai la carne con
un piatto di germogli di soia. Con buona pace della tua salute e di quella
del tuo pianeta.
di Daniela Condorelli http://www.progettogaia.it/dirittiuman/fao2002/fao1.htm
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NUMERI DA UN
PIANETA IN CRISI
1 miliardo 300 mila:
le persone che potrebbero essere nutrite con grano e soia destinati ai
bovini.
20%:
la quota di grano coltivato per nutrire persone.
38%:
la quota coltivata per nutrire bestiame nel mondo.
9 milioni di acri:
il terreno destinato alla coltivazione di vegetali, frutta e semi.
56 milioni di acri:
il terreno destinato alla coltivazione del fieno destinato a nutrire gli
animali da allevamento.
260 milioni:
acri di foresta distrutta per fare spazio a pascoli.
40 mila:
i bambini che muoiono di fame ogni giorno.
10 mila:
i chili di patate che si ottengono da 1 acro di terra.
63:
i chili di manzo che si ottengono da 1 acro di terra.
5000 le tonnelate:
di antibiotici impiegate negli allevamenti europei. Di cui 1.500 per
favorire la crescita degli animali.
1000:
animali estinti ogni anno a causa della distruzione delle foreste
pluviali.
3 dollari:
costo di un chilo di proteine presenti nel frumento.
31 dollari:
costo di un chilo di proteine animali.
260 anni:
durata delle riserve se tutti fossero vegetariani.
13 anni:
durata delle riserve petrolifere mondiali se tutti gli esseri umani
fossero carnivori
500 mila chili al secondo:
produzione di escrementi da parte di tutti gli animali d'allevamento negli
Usa.
120 milioni di chili:
i rifiuti tossici prodotti ogni giorno dagli allevamenti di polli negli
Usa.
17 miliardi:
i dollari spesi ogni anno per dare da mangiare agli animali nella sola
Europa.
CHI MANGIA VERDE VIVE 6 ANNI DI PIÙ
Eliminare la carne non è solo un fatto di solidarietà con il mondo, ma
anche con se stessi. Gli studi che dimostrano i benefici di una dieta
vegetariana non si contano più. Così come quelli che dimostrano che la
carne fa male.
Ecco perché un illustre oncologo come Umberto Veronesi è vegetariano.
Ogni anno, in Italia, muoiono230 mila persone per patologie legate
all'alimentazione. Malattie cardiovascolari, obesità e alcuni tumori sono
strettamente connessi all'eccessivo consumo di prodotti di origine
animale. Ne parla Claus Leitzmann, esperto in scienze alimentari, nel suo
ultimo libro Essere vegetariani, che sta per uscire per Bruno Mondadori.
Qualche dato: la National Academy of Sciences raccomanda di ridurre di
almeno il 12% l'assunzione di proteine, dando priorità a quelle vegetali.
L'americano medio (ma noi non siamo da meno), consuma ogni giorno il
doppio delle proteine raccomandate.
E che dire del colesterolo? Ogni giorno una persona che mangia carne, uova
e latticini ne assume in media 400mg, i latto-ovo-vegetariani circa 200mg
e un vegan (che esclude anche latte e uova) non ne assume proprio.
Una ricerca pubblicata sulla rivista Preventive Medecine ha stimato che
ogni anno i costi sanitari del consumo di carne negli States ammontano a
una cifra compresa tra 30 e 60 miliardi di dollari.
Una delle voci più consistenti riguarda i tumori. Come quello al colon.
Uno studio ha paragonato donne che consumavano carne rossa una volta alla
settimana con altre donne che non ne consumavano affatto: il rischio di
contrarre il tumore al colon era del 38% maggiore nelle prime.
Poi c'è la questione obesità che affligge, negli States, il 18% della
popolazione generale e solo il 6% dei vegetariani. Il motivo è presto
detto: in un burger king ci sono 40 grammi di grassi, in un hamburger
vegetale i grammi sono 3.
I vegetariani si ammalano meno, dunque, ma non solo: vivono di più. In
media, hanno sei anni di vantaggio sugli altri. |
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