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Il Tibet è da sempre conosciuto come il Tetto del Mondo a causa della natura del suo territorio, in cui si trovano le montagne più alte del mondo, con ben 14 cime che si ergono al di sopra degli 8.000 mt (!!!) tra cui il celebre Monte Everest, (alto ben 8.848 mt.)
I suoi confini sono a nord con le regioni dello Xinjiang e del Qinghai, a est con quelle di Sichuan e Yunnan (tutte regioni cinesi), a sud con la Birmania, il Bhutan, il Nepal e l’India, con cui il Tibet confina anche ad ovest. Dalle sue cime nascono inoltre alcuni dei più importanti fiumi asiatici, come il Fiume Nu, il Fiume dalla Sabbia Gialla e il Fiume Lancang. Il Tibet, attualmente, fa parte della Repubblica Popolare Cinese: rappresenta 1/3 del territorio dell’intera Cina ma i suoi abitanti originari (i tibetani) corrispondono solo allo 0,5% della popolazione Cinese (!!!) . Il Tibet è uno stato autonomo?
Chi sono i tibetani?
Chiunque abbia una conoscenza diretta dei tibetani e della loro lingua può comprendere l’assoluta peculiarità della cultura di questo popolo. Tale peculiarità può essere evidenziata prendendo in esame gli elementi fondamentali che la caratterizzano e che ne definiscono il concetto fornendo una risposta alla domanda: cosa si intende per “cultura nazionale”? La possibilità che tibetani e cinesi possano avere un’identità comune è assolutamente remota. Non condividono, infatti, un territorio, una lingua, una legge, il senso della storia o una letteratura, hanno avuto un’irrilevante comunanza di credo religioso e appartengono a razze diverse. I tibetani affermano che il Tibet è una nazione a sé stante con una sua peculiare identità culturale. I cinesi sostengono invece che i tibetani sono membri di una minoranza all’interno della nazione cinese (talvolta definita “una famiglia di nazioni”), con caratteristiche locali nel contesto di una cultura comune. I tibetani sono un popolo unico sul pianeta, perché la loro identità nazionale è imperniata sul buddismo. Per il popolo del Tibet, il Dharma (la Dottrina), è tutto. Nell’arco di oltre mille anni, a partire dal re Songtsen Gampo (inizi del VII° secolo) fino al regno del V° Dalai Lama (il “Grande Quinto”, inizi del XVII° secolo), la cultura tibetana ha subito un laborioso processo di trasformazione: da etnocentrica, guerriera e imperialista è diventata universale, spirituale e buddista. Per più di trecento anni i tibetani, per propria scelta, non hanno avuto un esercito. Hanno volutamente posposto la crescita materiale a quella spirituale. Per secoli hanno utilizzato le risorse finanziarie principalmente per mantenere i monasteri e consentire ai monaci e alle suore di studiare. Non hanno considerato la ruota solo come un mezzo di trasporto ma come uno strumento per generare la preghiera, l’energia sacra del mantra “OM MANI PADME HUM”. I loro governanti, dopo aver trionfato su dinastie sanguinarie, provenivano da lignaggi spirituali di saggezza e compassione. E’ una cultura di valore inestimabile, che fa da contrappunto alla nostra, perché proiettata verso l’interiorità allo stesso modo in cui noi diamo invece peso alle cose esteriori. Potrebbe fornirci preziose indicazioni per aiutarci a ristabilire l’equilibrio del pianeta e a restituire un equilibrio spirituale a quanti sono stati follemente travolti dall’eccessivo materialismo. E’ una questione di vita o di morte, è la nostra stessa vita o morte. E’ una cultura che vive in clandestinità in patria e in libertà solamente in esilio. E’ nostro dovere proteggerla, nutrirla ed aspettare pazientemente che le persone interessate ne riscoprano il prezioso valore e sentano l’esigenza di farne tesoro. Chi è Sua Santità il Dalai Lama?
Sua Santità Tenzin Gyatso, 14° Dalai Lama del Tibet, è il capo temporale e spirituale del popolo tibetano. Nato con il nome di Lhamo Dhondrub il 6 luglio 1935 in un piccolo villaggio chiamato Taktser, nel nordest del Tibet, da una famiglia di contadini, all’età di due anni fu riconosciuto come la reincarnazione del suo predecessore, il 13° Dalai Lama e, secondo la tradizione buddista tibetana, come reincarnazione di Avalokitesvara, il Buddha della Compassione che scelse di tornare sulla terra per servire la gente. I suoi tentativi di soluzione pacifica del conflitto Cino-Tibetano furono vanificati dalla spietata politica perseguita da Pechino nel Tibet Orientale, politica che scatenò la sollevazione popolare e la resistenza. La protesta si diffuse nelle altre regioni del paese. Il 10 marzo 1959 nella capitale, Lhasa, esplose la più grande dimostrazione della storia tibetana: il popolo chiese alla Cina di lasciare il Tibet e riaffermò l’indipendenza del paese. La sollevazione nazionale tibetana fu brutalmente repressa dall’esercito cinese. Il Dalai Lama fuggì in India dove ottenne asilo politico. Circa 80.000 tibetani lo seguirono e, attualmente, i profughi in India sono più di 120.000. Dal 1960, il Dalai Lama risiede a Dharamsala, una cittadina situata nello stato indiano dell’Himachal Pradesh, conosciuta anche come “la piccola Lhasa” e sede del Governo Tibetano in esilio. Sin dalla sua prima visita in Occidente, all’inizio del 1973, numerose università ed istituzioni occidentali hanno conferito al Dalai Lama Premi per la Pace e Lauree ad Honorem, in segno di riconoscimento per gli approfonditi testi sulla filosofia buddista e per il ruolo svolto nella soluzione dei conflitti internazionali, nella questione dei diritti umani e in quella, a carattere globale, dei problemi ambientali. Come e quando è avvenuta l’invasione cinese?
Nel 1950 la Repubblica Popolare Cinese invase il Tibet. L’invasione e l’occupazione del Tibet costituirono un inequivocabile atto di aggressione e violazione della legge internazionale. Secondo stime attendibili alla fine del 1957 circa centomila guerriglieri combattevano per la libertà del Tibet, ma la disparità delle forze in campo non lasciava alcuna possibilità di successo alla pur eroica resistenza tibetana. Infatti, i cinesi potevano contare su di un esercito armato di tutto punto, organizzato secondo una ferrea disciplina, perfettamente addestrato e che contava quattordici divisioni per un totale di oltre centocinquantamila uomini. Durante tutto il 1957 e il 1958 alle incursione della guerriglia, Pechino rispose colpendo indiscriminatamente la popolazione civile, bombardando villaggi, uccidendo monaci, distruggendo monasteri e passando per le armi tutti coloro che, a torto o a ragione, erano accusati di aver aiutato i partigiani. La potente macchina bellica maoista fu responsabile in quegli anni, come appurarono in seguito da due dettagliati rapporti della Commissione Internazionale dei Giuristi (3), di un vero e proprio genocidio. Il Dalai Lama, capo politico e spirituale del Tibet, tentò una pacifica convivenza con i cinesi, ma le mire colonialiste della Cina diventarono sempre più evidenti. La sistematica politica di cinizzazione e sottomissione del popolo tibetano segnò l’inizio della repressione cinese cui si contrappose l’insorgere della resistenza popolare. Il 10 Marzo 1959 il risentimento dei tibetani sfociò in un’aperta rivolta nazionale. L’Esercito di Liberazione Popolare stroncò l’insurrezione con estrema brutalità uccidendo, tra il marzo e l’ottobre di quell’anno, nel solo Tibet centrale, più di 87.000 civili. Il Dalai Lama, seguito da circa 100.000 tibetani, fu costretto a fuggire dal Tibet e chiese asilo politico in India dove fu costituito un governo tibetano in esilio fondato su principi democratici. Attualmente, il numero dei rifugiati supera le 135.000 unità e l’afflusso dei profughi che lasciano il paese per sfuggire alle persecuzioni cinesi non conosce sosta. Cosa ha provocato l’occupazione cinese del Tibet in tutti questi anni? Oggi il Tibet è oppresso da un'occupazione illegale e repressiva. Un milione e duecentomila tibetani, un quinto della popolazione, sono morti come risultato dell'occupazione cinese. Migliaia di prigionieri religiosi e politici vengono detenuti in campi di lavoro forzato, dove la tortura è pratica comune. Uno degli aspetti più penosi della dominazione cinese è stato il "Thamzing" o "seduta di rieducazione", durante la quale i tibetani erano costretti ad auto accusarsi di crimini non commessi e ad autodegradarsi. I bambini erano sovente obbligati ad accusare i genitori di aver compiuto questo o quel crimine e a colpirli con sassi. Molti genitori, a loro volta, hanno assistito all'esecuzione dei loro figli, sono stati costretti a pagare i proiettili usati per ucciderli e a ringraziare i cinesi per aver eliminato "elementi antisociali".
Le donne tibetane sono soggette tuttora a sterilizzazioni forzate e a procurati aborti: occorre che i cinesi in Tibet siano sempre più numerosi e i tibetani sempre meno. Spesso vengono sterilizzate in condizioni spaventose tutte le donne in età fertile di un paese: radunate a forza davanti ad una tenda montata allo scopo, sono costrette ad attendere il loro turno ascoltando le urla delle donne operate all'interno. Manca totalmente qualsiasi forma di anestesia. Altissima è la percentuale delle donne morte per infezione, poiché vengono obbligate ad abortire anche donne gravide di cinque o sei mesi. Le donne tibetane si rifiutano di partorire negli ospedali perché in molti casi il bimbo viene loro sottratto e considerato "morto durante il parto". Inoltre il Tibet, un tempo pacifico stato cuscinetto tra l'India e la Cina, è stato trasformato in una vasta base militare che ospita buona parte della forza missilistica nucleare cinese, valutata complessivamente in 350 testate nucleari. Esistono, ormai, in Tibet numerose miniere di uranio dove la manodopera è tutta tibetana; parecchie persone vivono nei villaggi vicini alle basi atomiche, ai luoghi d'interramento delle scorie nucleari e alle miniere di uranio, sono gravemente malate, mentre continuano a nascere bambini deformi, i campi non danno più colture, gli animali muoiono e le acque dei fiumi che attraversano vasti territori dell'Asia, quali il Brahmaputra, sono contaminate da materiale radioattivo. Tutto il subcontinente indiano rischia la contaminazione. Le risorse naturali del Tibet e la sua fragile ecologia stanno per essere irrimediabilmente distrutte. Gli animali selvatici sono stati sterminati, le foreste abbattute, il terreno impoverito ed eroso. Le immense foreste delle regioni orientali del Kham e dell'Amdo, intatte sino alla metà di questo secolo, grazie ad una sorta di ecologismo naturale proprio del Buddismo, sono ormai ridotte a spelacchiate macchie circondate da un vero e proprio deserto. La deforestazione del Tibet procede senza sosta dal 1963. Più di 6000 monasteri, templi ed edifici storici sono stati razziati e rasi al suolo, le loro antiche opere d'arte e i tesori della letteratura sono stati distrutti o venduti dai cinesi. Migliaia di statue d'oro di valore inestimabile sono state fuse, trasformate in lingotti e trasportate a Pechino. La Cina proibisce in Tibet l'insegnamento e lo studio del Buddismo, l'odierna apparenza in libertà religiosa è stata inaugurata unicamente per fini di propaganda e turismo. Finti monaci prezzolati popolano finti monasteri, mentre i monaci e le monache vengono espulsi, maltrattati ed imprigionati. Oppressione ed atrocità regolano la vita dei tibetani rimasti in Tibet la cui esistenza si svolge come in un incubo senza fine. Nonostante la rigida chiusura del Governo di Pechino che si ostina a negare l'esistenza di una "questione tibetana", dal 1959 ad oggi il Dalai Lama ha formulato diverse proposte politiche per sbloccare la situazione ed avviare un serio negoziato. Il progetto più articolato è costituito dal Piano di Pace in Cinque Punti presentato dal Dalai Lama nel 1987, documento in cui si chiede che l'intero territorio del Tibet venga dichiarato "zona di pace" e smilitarizzato; che cessi la politica di massiccia immigrazione dei coloni cinesi, la quale sta riducendo i tibetani ad una minoranza nel loro stesso paese; che siano garantite agli abitanti le libertà democratiche e i diritti civili; che cessi lo sfruttamento selvaggio e sistematico dell'ecosistema tibetano e che inizino al più presto serie e concrete trattative tra le autorità della Repubblica Popolare Cinese ed il Governo Tibetano in esilio, per ritrovare una soluzione pacifica e democratica al dramma del Tibet. A tutt'oggi il governo di Pechino non ha dato risposta. Cosa sta succedendo in questi giorni? 4 gennaio 2008 Gli organizzatori hanno annunciato che la prima, spettacolare azione del Movimento di Insurrezione del Popolo Tibetano avrà luogo il prossimo 10 marzo 2008, 49° anniversario della pacifica rivolta di Lhasa contro l’occupazione cinese, con una marcia pacifica che, partendo da Dharamsala, dovrebbe raggiungere Lhasa, la capitale del Tibet. Tsewang Rigzin, Presidente del Tibetan Youth Congress, nel corso di una conferenza stampa, a New Delhi, ha affermato che “la marcia verso il Tibet è un’iniziativa dei tibetani in esilio per rafforzare resistenza e portare la lotta dentro casa”. Ha inoltre invitato i tibetani in tutto il mondo a scendere in piazza e manifestare, senza ricorrere alla violenza, ovunque la Cina faccia transitare la fiaccola olimpica. Lhasa, 10-11 Marzo 2008 Il giorno successivo, 11 marzo, attorno alle 3 del pomeriggio, centinaia di monaci del monastero di Sera (tra 400 e 500 religiosi) si sono radunati nel cortile dell’istituto monastico inneggiando alla libertà e all’indipendenza del Tibet. Hanno cercato quindi i raggiungere Lhasa per protestare contro gli arbitrari arresti avvenuti il giorno precedente e per chiedere la liberazione delle persone imprigionate nell’ottobre 2007, in occasione delle manifestazioni seguite al conferimento al Dalai Lama della medaglia d’oro del Congresso americano. Nei pressi della locale stazione di polizia sono stati fermati da almeno un migliaio di poliziotti appartenenti alle forze di pubblica sicurezza che, per disperdere la folla, hanno fatto ricorso al lancio di gas lacrimogeni. Testimoni oculari hanno riferito che almeno undici manifestanti sono stati brutalmente percossi. Fonti attendibili hanno reso noto che alcuni colpi d’arma da fuoco sono stati uditi attorno al monastero di Drepung. Tutte le strade di accesso al monastero sono bloccate e la polizia ispeziona le abitazioni private dei tibetani alla ricerca di eventuali monaci o monache che abbiano cercato di ottenere riparo. In tutta Lhasa si registra una situazione di forte tensione. Lhasa, 14 Marzo 2008 In una dichiarazione rilasciata a Dharamsala, il Dalai Lama ha chiesto alla Cina di rinunciare all’uso della forza. Nella stessa dichiarazione il Dalai Lama ha affermato di essere “profondamente preoccupato” per la situazione in Tibet. ”Sono profondamente preoccupato della situazione che si sta verificando in Tibet a seguito delle proteste pacifiche degli ultimi giorni in molte aree, inclusa Lhasa. Queste proteste sono la manifestazione del profondo risentimento della gente del Tibet sotto l’attuale governo. Come io ho sempre detto, l’unita’ e la stabilita’ sotto la violenza bruta costituiscono al massimo una soluzione temporanea. E’ irrealistico aspettarsi unita’ e stabilita’ sotto un simile governo e questo non contribuira’ a trovare una soluzione pacifica e durevole. Dunque io faccio appello alle autorita’ cinesi, affinche’ smettano di usare la forza e indirizzino il risentimento covato a lungo dal popolo tibetano verso il dialogo col popolo tibetano stesso. Allo stesso tempo esorto i miei compagni tibetani a non fare ricorso alla violenza”. Lhasa, 15 Marzo 2008 Raggiunta telefonicamente, una tibetana residente a Lhasa, ha così dichiarato tra le lacrime: “La situazione è terribile. Molte persone sono state uccise. I cinesi hanno sparato a vista, indiscriminatamente, e pile di corpi giacciono nelle vicinanze dello Tsuglakhan, il tempio principale di Lhasa. Molti i tibetani fatti prigionieri e picchiati. I tibetani sono costretti a colpire i propri connazionali, anche se si rifiutano di farlo. Tutti i viaggi sono stati sospesi. Chiediamo il vostro aiuto”. Oggi la città è pattugliata da migliaia di poliziotti e percorsa da mezzi blindati. I monasteri sono circondati. Il governo locale ha intimato ai manifestanti di arrendersi e cessare ogni manifestazione entro lunedì. La televisione di stato oscura, dopo pochi secondi, tutti i notiziari sulla rivolta in corso trasmessi dalle più importanti televisioni straniere e insiste nel diffondere solo le immagini dell’assalto dei tibetani a negozi, edifici pubblici ed auto cinesi. La rivolta dei tibetani prosegue a Labrang (provincia del Gansu), con rinnovata intensità e fitto lancio di gas lacrimogeni. Il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia da notizia di manifestazioni in corso anche in Kham e in Amdo. Lhasa, 17 Marzo 2008 Lunedì 17 marzo, nella contea di Machu (Prefettura di Gannan, nel Gansu), una folla di 300 – 400 persone recanti grandi fotografie del Dalai Lama, si è diretta contro gli edifici governativi appiccando il fuoco a negozi ed uffici cinesi. Un centinaio di studenti della Marthang Nationality Middle School (Prefettura di Ngaba – Provincia del Sichuan) hanno inscenato una manifestazione di protesta all’interno del campus della scuola e chiesto a gran voce il ritorno del Dalai Lama. Si ha notizia dell’arresto di una quarantina di dimostranti. Il 16 marzo, circa 500 studenti tibetani dell’Università di Lanzhou (la capitale della provincia del Gansu), hanno dato vita ad una pacifica dimostrazione all’interno dell’istituto scolastico. Analoghe manifestazioni di protesta sono avvenute non lontano da Lhasa, presso il monastero di Gaden Choekor ed in altre località della Regione Autonoma. Dal 15 marzo, a Lhasa, la polizia cinese esegue rastrellamenti casa per casa. Si è appreso dell’arresto di centinaia di tibetani, compresi tutti gli ex prigionieri politici. Il 16 marzo, a Dharamsala, nel corso di una conferenza stampa, il Dalai Lama ha denunciato il genocidio culturale in atto all’interno del Tibet ed ha dichiarato di temere che la politica di repressione attuata dal governo di Pechino si possa tradurre in un nuovo bagno di sangue. Pur ribadendo di non essere contrario allo svolgimento dei Giochi Olimpici a Pechino, ha fatto sapere che non chiederà ai suoi connazionali di arrendersi alle autorità cinesi. ECCO I MONACI CHE HANNO CAUSATO LE VIOLENZE A LHASA (collegamento) Cosa posso fare io?
Se hai letto fino a questo punto, già hai compiuto un passo avanti nella tua ricerca personale per un informazione più libera. Molto probabilmente quello che hai letto non ti è piaciuto ed è nato in te il desiderio di fare qualcosa di più concreto per il popolo tibetano. Non ti resta quindi che: divulgare le notizie! Qualche idea? Potresti: divulgare la notizia. Dai telegiornali non si riesce a evincere appieno la complessità e la drammaticità della odierna situazione in cui versa il popolo tibetano: divulga quindi questo articolo, oppure, spiega tu cosa sta succedendo a quante più persone conosci; oppure ancora, se hai un blog, dedica un tuo post alla questione tibetana;
firmare la petizione internazionale a favore del Tibet. "Avaaz - Raccolta di 1 Milione di firme on-line a sostegno del Tibet e del Dalai Lama, che Avaaz farà avere al presidente cinese." L'indirizzo è: www.avaaz.org/en/tibet_end_the_violence/7.php farti socio dell’associazione Italia-Tibet (vedi la bibliografia) che da anni propugna eventi e manifestazioni per sostenere e far conoscere la questione tibetana; unirti ad Amnesty International per cercare di far liberare
dalle carceri cinesi tutti i prigionieri politici tibetani (Vuoi sapere chi è il
più piccolo prigioniero politico del mondo? Clicca qui: decidere di unirti alle varie manifestazioni spontanee che
stanno sorgendo in questi giorni, in varie città d’Italia, per solidarietà con
il popolo Tibetano (per sapere come aderire, clicca qui scrivere direttamente all’ambasciatore Cinese in Italia
(Mr. Dong Jinyi, indirizzo e-mail: unisciti anche tu come volontario alla Marcia, oppure,
semplicemente, sostieni i marciatori. Puoi farlo iscrivendoti a: infine, se sei un praticante del Dharma: sappi che è stato
chiesto a tutti i Buddhisti di recitare quanto più possibile il mantra di
Cenresig (Om mani Peme Hum), la richiesta è partita dai monaci stessi che stanno
marciando verso il Tibet e da alcuni Geshe di Sera. Ricorda solo che, qualsiasi azione tu decida di intraprendere, di rispettare i principi della non violenza. Grazie di tutto, Alice -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- (Da questi siti ho tratto informazioni e foto per potere scrivere questo articolo) www.italiatibet.org : sito dell’Associazione Italia – Tibet, il principale riferimento per noi italiani sulla questione tibetana; www.giotibet.com : sito nato appositamente per seguire le vicende sulla lunga marcia dei Tibetani verso il confine tra Tibet e India, obiettivo: Lhasa. Troverete qui tutte le ultime notizie sulle manifestazioni/rivolte/repressioni/aggressioni di questi giorni, il sito viene aggiornato minuto per minuto; www.tibetanuprising.org : (in inglese) sito ufficiale del neo costituito “Movimento di Insurrezione del Popolo Tibetano” che coordina la marcia; www.tibet.net : (in inglese) sito ufficiale del Governo Tibetano in esilio (sede ufficiale di Dharamsala); www.padmanet.com : sito Buddhista che raccoglie tutti i centri di Buddhismo Tibetano in Italia, contiene anche informazioni sul Tibet; www.casadeltibet.it/index.htm : sito sul Centro Culturale Internazionale “Casa del Tibet” che a Votigno di Canossa ha portato a nuova vita un borgo abbandonato, ricreando un Tibet in miniatura in Italia. Film (mi limito a segnalare solo i più famosi): - “Sette anni in Tibet”, con Brad Pitt, regia di Jean-Jacques
Annaud ; ********* Fonte: iomangiovegetariano.myblog.it
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- Gruppo di Studi Rosacrociani di Roma -
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