Lo scorso mese, nel dibattito sulla storicità della Resurrezione tra il vescovo
di Magonza Karl Lehmann e "30Giorni", sono stato chiamato personalmente in
causa. Perciò vorrei fare alcune puntualizzazioni. Innanzitutto è contestata da
monsignor Lehmann una frase di Paolo VI, detta a braccio durante il simposio "Resurrexit"
del 1970 e riferita al giornalista di "30Giorni" Antonio Socci da me stesso che
ero testimone. Secondo questa frase di Paolo VI, era importantissimo
sottolineare «il fatto empirico e sensibile delle apparizioni pasquali»
altrimenti, egli aggiungeva, si trasforma «il cristianesimo in una gnosi»;
questo fu detto interrompendo il discorso rivolto agli studiosi al termine dei
lavori.
Questa frase colpì molti dei presenti e ha infastidito invece altri, tra cui
oggi monsignor Lehmann, che ribatte a Socci che quella frase, essendo stata
detta a braccio, non fa fede, e che invece fa fede solo il testo stampato di
quel famoso discorso.
Un'obiezione certamente lecita se non fosse che anche entro il testo stampato il
Pontefice ribadì queste cose parlando «dei tentativi di una gnosi sempre
rinascente sotto molteplici forme (...) la cui temibile inclinazione porta ad
evacuare insensibilmente tutte le ricchezze e la portata di ciò che è
innanzitutto un fatto: la Resurrezione del Salvatore». E ancora: «Vediamo questa
tendenza manifestare le sue estreme conseguenze drammatiche, arrivando fino a
negare, come accade fra fedeli che si dicono cristiani, il valore delle
testimonianze ispirate, o, più recentemente, interpretando in modo puramente
mitico, spirituale o morale la Resurrezione fisica di Gesù». Dunque la frase
detta a braccio è solo un equivalente del testo stampato. Anzi, lo rafforza.
Ma in quel discorso Paolo VI va ancora più al fondo del problema. Vediamone
alcuni punti. Citando Romano Guardini, Paolo VI evidenzia il doppio aspetto
della Resurrezione, che non viene colto sufficientemente oggi: da una parte
l'aspetto del "mistero", della singolarità, e dall'altra la realtà "fisica"
della Resurrezione. Ecco due citazioni di Guardini nel discorso del Papa: «Egli
(Gesù) si muove con una libertà nuova, sconosciuta sulla terra, ma allo stesso
tempo viene affermato che Egli è Gesù di Nazareth, in carne e ossa, come è
vissuto precedentemente con i suoi, e non un fantasma». Seconda citazione di
Guardini nel discorso del Papa: «Il Signore è trasformato. Egli vive in un modo
diverso da prima. La sua esistenza presente è per noi incomprensibile. Eppure è
corporea, contiene Gesù tutto intero... anzi, attraverso le sue piaghe, contiene
tutta la sua vita vissuta, la sorte che egli ha subito, la sua passione e la sua
morte».
Questa insistenza sulla fisicità del Cristo Risorto non è casuale. Anche Sant'Ireneo
contro gli gnostici sottolinea sempre l'aspetto "corporale" della salvezza. Uno
dei temi fondamentali di Sant'Ireneo è infatti la "salus carnis", la salvezza
della carne; prima per Gesù nella Resurrezione, e poi per noi, nell'escatologia.
Che la carne sia salvata è contro tutta la gnosi antica, «sempre rinascente».
Ci sono pagine bellissime dei Padri dei primi secoli sul doppio aspetto, quello
della fisicità ma anche della singolarità, della Resurrezione; proprio in questo
sta tutto il mistero di Cristo: Egli è vissuto tra noi, è morto, ha sofferto, ma
è anche risorto. Ma è sempre Lui, è lo stesso Gesù Cristo. Ci torneremo
prossimamente, partendo dal IV Vangelo. Vorrei invece riprendere adesso
l'articolo di Socci, che per due volte fa riferimento a Rosino Gibellini, un
teologo contemporaneo, autore de "La teologia del XX secolo" (1992) che afferma
come oggi sia comune tra i teologi la distinzione tra la «realtà» della
Resurrezione, che viene accettata, e la sua «fattualità storica» che invece fa
problema.
Questa distinzione di Gibellini corrisponde esattamente a quella fatta dal
vescovo Lehmann (cfr. "30Giorni" agosto/settembre, p. 59). Inoltre Gibellini
spiega a Socci che «la critica di Rudolf Bultmann ai racconti delle apparizioni
del Risorto è ormai universalmente accettata da tutti i teologi moderni». Ma è
proprio vera questa affermazione audace?
Per quanto riguarda il primo punto andiamo a rileggere l'articolo di Lehmann,
pubblicato nel volume "Resurrexit" alle pp. 297-315. In effetti il vescovo di
Magonza distingue tra «realtà» della Resurrezione e «fattualità storica» (in
tedesco Faktizitat) della stessa. Questa distinzione mi sembra accettabile in
via di analisi; ma, per Lehmann, si direbbe che la «realtà» della Resurrezione è
la sola cosa importante, mentre la «fattualità storica» della tomba vuota e
delle apparizioni (la "Faktizitat") sembra essere quasi secondaria. Così Lehmann,
ripreso da Gibellini, dice: il mistero della Resurrezione non è storico come
tale, non c'era nessun testimone. Cos'è la Resurrezione? E' l'entrata,
l'ingresso nella vita trascendente, nella vita gloriosa; questo sfugge alla
storia come tale. Questo evento in quanto tale non ha avuto testimoni; dunque
questo evento non sarebbe "storico" in senso stretto.
Però, ribattono molti autori -e noi con loro- ci sono le apparizioni pasquali,
la «fattualità storica» di quelle apparizioni, come Lehmann stesso la definisce;
ma questo lo lascia perplesso, non lo convince. Lehmann, infatti, afferma che
parlare della «humanitas Christi resuscitati» (p. 300) è solo un'astrazione.
Ma quale astrazione! Invece è concretissima l'umanità di Cristo risorto.
Interrogarsi sulla storicità delle apparizioni, secondo Lehmann, sarebbe una
cosa problematica; diciamo piuttosto che questo è un falso problema. Perché, se
le apparizioni fanno parte senza dubbio di un insieme più ampio, sono segno per
noi di una realtà trascendente, che è la Resurrezione stessa. Ma se è così,
allora non sono più secondarie.
Scrive padre E. Dhanis, curatore degli Atti del convegno "Resurrexit", a pag.
602: «Le cristofanie pasquali furono sperimentate almeno parzialmente come dei
dati visibili. Perciò noi le chiamiamo apparizioni» (il corsivo è nostro). E
ancora (p. 626): «La Resurrezione di Gesù è un evento storico, non direttamente
[non c'erano testimoni], ma indirettamente, cioè è un fatto a cui può arrivare
con la sua riflessione anche la ricerca dello storico» partendo da eventi,
testimonianze, eccetera.
E sempre padre Dhanis scriveva a pagina 631 una cosa che mi sembra importante:
«All'elemento sensibile delle cristofanie si aggiunse certamente una grazia
spirituale». L'accenna anche monsignor Lehmann: non tutti potevano vedere e
riconoscere Gesù, Egli appariva a chi voleva Lui, non era immediatamente
riconoscibile. Però era Lui! Certo, non più come prima, ma era lo stesso Gesù.
Questo si vede molto bene nelle apparizioni alla Maddalena, ai discepoli di
Emmaus, a Tommaso. I discepoli erano sconcertati, confusi, ma avevano la
certezza che era Lui, in carne ed ossa. Avevano la certezza e la gioia di averlo
visto e udito realmente. In Lc 24,39, Gesù stesso dice ai discepoli: «Guardate
le mie mani e i miei piedi: sono proprio io!». Tra il Gesù di prima e il Cristo
risorto, malgrado l'aspetto problematico della sua apparenza, c'è identità:
«Sono proprio io».
Nel suo articolo di "30Giorni" (p. 63), A. Socci cita anche due passi del
decreto "Lamentabili" (1907) contro i modernisti, i quali negavano che la
Resurrezione fosse «un fatto di ordine storico» (Denz. 3446). Perciò è
interessante vedere come si è espresso su questo problema Maurice Blondel, il
grande filosofo cattolico di quel tempo, che ha scritto molto sul rapporto tra
"Storia e dogma", e sul "Valore storico del dogma". Parlando della Resurrezione,
egli diceva che bisogna accettare «la realtà fisica del corpo risorto». La
ragione è che «ha potuto essere constatato da diversi testimoni, e diverse
volte». Tuttavia si deve anche riconoscere «il carattere storicamente anomalo di
questa constatazione»: quella verifica sperimentale non poteva essere fatta a
piacimento da chiunque; e sembra che il Risorto si sia manifestato solo ai
discepoli. I giudei che l'avevano conosciuto a Gerusalemme forse non l'avrebbero
visto. Ha voluto confermare nella fede solo i suoi discepoli, a volte è apparso
solo ad alcuni di loro. Siamo quindi di fronte al mistero.
Anche monsignor Lehmann sottolinea l'aspetto di mistero della Resurrezione. Però
attenzione: siccome il corpo del Risorto era un corpo "reale", apparso tra gli
uomini, tra i discepoli manteneva un aspetto "visibile"; le cristofanie quindi
non possono in nessun modo essere sottovalutate.
Bisogna distinguere tre periodi nella vita di Gesù Cristo: prima della passione,
la vita pubblica; poi la passione e il fatto della Resurrezione; terzo, i
cinquanta giorni prima dell'ascensione, cioè le apparizioni pasquali. Ora, come
dice molto bene papa Paolo VI nel suo discorso sopra citato: «Se non accettiamo
la storicità, l'aspetto fisico delle apparizioni pasquali, tra la passione e
l'ascensione» non c'è continuità tra il Gesù storico e Cristo presente oggi
nella Chiesa; si deve mantenere in questo periodo intermedio un aspetto fisico,
misterioso certamente, ma fisico.
Vorrei concludere facendo presente che se non affermiamo la storicità della
Resurrezione e delle apparizioni pasquali, se non diciamo nettamente questo ai
cristiani, anche su un piano squisitamente pastorale, crolla tutto. Sono
connessi tra loro tre fatti storici fondamentali: la realtà fisica della
concezione verginale, dell'Incarnazione; quella dei miracoli, durante la vita
pubblica; e quella della Resurrezione corporale di Cristo. Sono i pilastri di
tutta la realtà del Verbo incarnato. Se si mettono in dubbio questi fatti, il
semplice fedele si trova confuso senza saper più cosa deve credere.
Lo stesso Paolo VI, nel discorso in oggetto, citava un'omelia di Gregorio Magno
("Hom. 26 in Ev.") contenuta nell'antico breviario alla Domenica in Albis. Un
testo molto bello, dove, facendo un paragone, san Gregorio diceva: «Davanti a
questo mistero (la Resurrezione), siamo colti di ammirazione esattamente come
davanti al mistero dell'incarnazione e della nascita verginale». C'è un legame e
un confronto da fare tra questi tre pilastri della vita di Gesù Cristo: il
concepimento verginale, i miracoli e la Resurrezione.
Invece oggi c'è la tendenza a mettere in dubbio queste realtà. Per certe forme
estreme della critica moderna, sul Gesù storico noi non sappiamo
scientificamente quasi niente; ma per Bultmann, per esempio, questo non ha
nessuna importanza, perché per lui Gesù era un semplice ebreo, non il Figlio di
Dio.
Riprendiamo piuttosto i termini straordinari della fede apostolica: «Ciò che era
fin dal principio, ciò che abbiamo sentito, ciò che abbiamo visto con i nostri
occhi, ciò che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato del Verbo
della vita, poiché la Vita si è manifestata, e abbiamo visto e diamo
testimonianza...; e lo annunziamo anche a voi... E vi scriviamo queste cose
affinché la nostra gioia sia piena... La nostra comunione è comunione con il
Padre e col suo Figlio Gesù Cristo» (1Gv 1,1-3).
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