Drewermann e la storicità della risurrezione. Il caso Drewermann è solo la punta
dell'iceberg. Così libri e giornali stanno andando all'attacco delle prove
storiche della resurrezione.
E' il 1970. Paolo VI, dopo la grande testimonianza data alla Chiesa e al mondo
con il 'Credo del popolo di Dio' del 30 giugno '68, in parecchi drammatici
discorsi parla dell'«ora inquieta della Chiesa», vede su di essa «nuvole,
tempesta, buio», denuncia la penetrazione dentro le sue volte del «fumo di
Satana». Proprio in questi mesi Paolo VI riesce a realizzare un suo grande
desiderio per confermare il fondamento della fede: «Et resurrexit tertia die»,
un grande simposio internazionale sulla resurrezione di Gesù. Il titolo fu
proprio «Resurrexit». Alla fine gli studiosi furono ricevuti dal Papa. «Ricordo
che Paolo VI parlava in francese» dice il padre Ignace de la Potterie «e
sottolineò i due capisaldi storici della testimonianza degli apostoli: la tomba
vuota e le apparizioni di Gesù risorto. Il come e il quando della resurrezione è
un mistero, ma resta il 'fatto' e qui Paolo VI scandì bene queste parole: "Il
fatto empirico e sensibile delle apparizioni pasquali". Ed aggiunse un monito
che colpì molti di noi: "Se non manteniamo la fede in questo fatto empirico e
sensibile trasformiamo il cristianesimo in una gnosi"».
Era anche un grido di allarme... Poi accadde un piccolo incidente. Racconta
padre De La Potterie: «Quando, nel 1974, uscirono gli Atti del simposio con
l'allocuzione pontificia, pubblicati dalla Libreria editrice vaticana, quella
frase -essendo stata pronunciata a braccio non c'era». Una metafora di ciò che
doveva avvenire nella Chiesa. Nelle scorse settimane alcuni giornali hanno
avanzato delle conclusioni: nella Chiesa si è tacitamente smesso di credere al
fatto storico della resurrezione e alla prova costituita dalle apparizioni
«empiriche e sensibili» di Gesù.
Nuovi Lutero?
A Pasqua il settimanale francese L'Express dedica la copertina a Eugen
Drewermann. Il teologo tedesco, autore di veri best seller, che vuol trasformare
Gesù Cristo in una favola/terapia psicanalitica, è al centro di un grande
battage giornalistico in tutta Europa. All'Express rivela che i Vangeli non
vanno presi alla lettera, il loro carattere infatti è «simbolico». La
resurrezione di Gesù? «E' la sua persona che è resuscitata, non il suo corpo».
Infatti «la sua resurrezione ha avuto luogo nel corso della sua vita». In che
consiste questa strana resurrezione? «Egli si è liberato da un "io" che trae i
suoi strumenti dal dominio, dal potere, dal denaro, dalla pretesa di possedere
la verità». Così, ridotto a simbolo, l'avvenimento di Gesù Cristo non ha più
niente di «unico»: «Anche altre religioni, per esempio l'antica religione
egiziana, conoscono l'idea della divinità che, in forma umana, muore e risorge».
Ad un'agenzia cattolica (la vecchia Informations catholiques) dice: «Bisogna
innanzitutto comprendere che la resurrezione non si applica in particolare alla
persona di Cristo. Gesù stesso è cresciuto in questa credenza che ha almeno
duemila anni più del cristianesimo».
Grazie alle edizioni du Cerf, dei padri domenicani, che hanno invitato il
teologo tedesco a Parigi alla veglia di Pasqua, adesso i francesi potranno
trovare in libreria tre delle maggiori opere di Drewermann.
Ma c'è di più. L'Express pubblica anche un sondaggio sulla fede dei cattolici
francesi. Ne viene fuori che il 25% dei praticanti non crede alla resurrezione
di Gesù ed il 48% non crede alla resurrezione dei morti che professa nel Credo.
Per i teologi le cose vanno anche peggio. Drewermann in una precedente
intervista a Der Spiegel aveva dichiarato: «Quello che dico, lo dice la maggior
parte dei teologi che trattano la medesima questione. Solo che non lo fanno se
non servendosi di proposizioni subordinate limitative che dovrebbero garantire
da una eventuale persecuzione dall'alto».
Un'accusa sconcertante? E' vero che gran parte dei teologi contemporanei -come
Drewermann- non credono che i resoconti evangelici sulla resurrezione vadano
presi alla lettera? E' vero che non credono alla presenza «empirica e sensibile»
di Gesù quando tornò fra i suoi dopo la resurrezione? Ed è vero che nei loro
libri dicono con complicate perifrasi ciò che Drewermann scrive apertamente?
«Purtroppo penso di sì» risponde amaramente padre De la Potterie, «e mi sembra
che la tendenza a negare la storicità dei Vangeli sia oggi molto diffusa». Sul
fronte opposto sentiamo Rosino Gibellini, che ha appena pubblicato il volume La
teologia del XX secolo (Queriniana): «Drewermann vuole sottolineare soprattutto
il valore simbolico della resurrezione. E' la sua idea. Ma è vero che la maggior
parte dei teologi cattolici oggi afferma la 'realtà' della resurrezione, non la
'storicità'». Sofismi o necessarie distinzioni, ricerca teologica o eresie
travestite da astrusi giochi di parole?
Per la verità lo stesso presidente della Conferenza episcopale tedesca, il
vescovo Karl Lehmann, uno dei vicepresidenti del Sinodo sull'Europa, ha usato
questa distinzione in un'intervista rilasciata il 16 aprile all'agenzia Kna:
«Quanto alla 'fattualità storica' della resurrezione di Gesù Cristo, la cosa è
complessa. Comunque è un evento reale. La resurrezione di Gesù Cristo da parte
di Dio Padre è, strettamente intesa, un avvenimento nella sfera di Dio, che nel
suo nucleo non appartiene alla nostra storia. Ma essa si ripercuote in quanto
evento nello spazio e nel tempo». Lehmann, che è stato l'assistente di Karl
Rahner, parla difficile per i semplici cristiani. Non così il cardinale Camillo
Ruini che, negli stessi giorni, nell'articolo di Pasqua, comparso sul
Messaggero, usava la semplicità di san Pietro e san Paolo: «E' anzitutto una
questione di fatto: Gesù è o no risorto? Le testimonianze sono molte, ed alcune
sono arrivate a noi in forma diretta e personale da parte dei protagonisti, come
ad esempio, e incontestabilmente, quella dell'apostolo Paolo nelle sue lettere.
Su questo piano dei dati di fatto nulla di altrettanto attendibile, o anche solo
di paragonabile, può essere addotto per negare la resurrezione di Gesù».
Le prove
Perché la teologia è oggi così fumosa e astrusa sulla resurrezione? Ha forse
ragione Drewermann? Come vengono trattati i due capisaldi storici della
testimonianza degli apostoli indicati da Paolo VI: il sepolcro vuoto e le
apparizioni del Risorto?
«Sì» ammette Gibellini «è vero che i racconti delle apparizioni di Gesù sono
contestati. Ma è chiarissimo, è ormai assodato che le apparizioni sono racconti
credenti della comunità cristiana che presuppongono la fede e non resoconti
cronachistici. Perciò hanno tutto un tessuto simbolico».
La prova? «Non sono concordabili fra loro: i racconti delle tre donne, poi la
Maddalena, poi Pietro, Giacomo, Gesù in Galilea o a Gerusalemme...» Ma è
corretta questa liquidazione?
Erich Stier, uno storico tedesco dell'antichità, risponde così ai teologi: «Come
esperto in storia antica devo dichiarare che le fonti sulla resurrezione di
Gesù, con la loro notevole relativa contraddittorietà nel dettaglio,
rappresentano per lo storico addirittura un criterio di straordinaria
credibilità. Perché se fossero state costruite ad arte da una comunità o da un
qualsiasi altro gruppo, formerebbero un blocco completo, chiaro e privo di
lacune. Qualsiasi storico, infatti, è particolarmente scettico proprio quando un
evento straordinario viene riferito mediante resoconti assolutamente privi di
contraddizioni». Ma Gibellini, e con lui i teologi, è irremovibile: «Con il
progresso degli studi biblici questi resoconti non si possono più accogliere
come racconti cronachistici: presuppongono la fede». Ed è questo che si trova
scritto nei testi di teologia?
Facciamo una rapida carrellata. Karl Rahner scrive: «Possiamo ammettere
tranquillamente che i resoconti, che ci si presentano a prima vista come
dettagli storici (historische) degli eventi della resurrezione e rispettivamente
degli eventi delle apparizioni, non si lasciano totalmente armonizzare: quindi
vanno interpretati piuttosto come rivestimenti plastici e drammatizzanti (di
tipo secondario) dell'esperienza originaria "Gesù vive", e non come descrizione
di questa stessa nella sua autentica essenza originaria», insomma non vanno
interpretati «come esperienza quasi grossolanamente sensibile». Gli apostoli
vedrebbero la resurrezione soprattutto in riferimento al destino di Cristo,
«questo destino (e non semplice mente una persona esistente cui in antecedenza è
capitato questo e quello) viene spe rimentato come valido e salvato» (Corso
fondamentale sulla fede, Edizioni Paoline, pag. 357). Rahner è un simbolo.
Quando fu sottoposta ai 1007 studenti della Gregoriana -la più prestigiosa
università pontificia- la domanda «quale teologo antico o moderno ha avuto o ha
maggiore influenza?» quasi la metà (501) rispose: Karl Rahner (a san Tommaso
andarono 203 voti, a sant'Agostino ancora meno).
«Gli antichi, non noi, potevano accettare sic et simpliciter quei racconti» ci
spiega ancora Gibellini. «E' ciò che va sotto il nome di "innocenza narrativa".
Oggi sappiamo come sono nati quei testi, dove sono nati -nella comunità- e ci
guardiamo bene dal prenderli alla lettera come resoconti storici: così salviamo
quel nocciolo di realtà che pur vi è dietro. Chiamiamo la nostra "seconda
innocenza narrativa"».
Ma quando Paolo VI parlava di presenza «empirica e sensibile» di Gesù risorto
non prendeva alla lettera quei resoconti? Lo stesso Giovanni Paolo II, in un
memorabile discorso nel mercoledì, il 25 gennaio 1989, affermava: «Il Risorto
"in persona" apparve in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!" Essi infatti
"credevano di vedere un fantasma". In quella occasione Gesù stesso dovette
vincere i loro dubbi e il loro timore e convincerli che "era lui": "Toccatemi e
convincetevi: un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho". E poiché
loro "ancora non credevano ed erano stupefatti", Gesù chiese loro di dargli
qualcosa da mangiare e "lo mangiò davanti a loro"». Insomma «egli stabilisce con
loro rapporti diretti, proprio mediante il tatto. Così nel caso di Tommaso... Li
invita a constatare che il corpo risorto, col quale si presenta a loro, è lo
stesso che è stato martoriato e crocifisso».
C'è dunque un insegnamento pubblico, ufficiale della Chiesa per il popolo ed un
altro, una sapienza nascosta per i dotti, che disprezza la «rozza grossolanità»
dei resoconti apostolici? E c'è ancora qualcuno che prende alla lettera la
testimonianza oculare degli apostoli?
«Sì, la manualistica cattolica, ufficiale e scolastica, è la vecchia
apologetica. Ma questa posizione che direi "massimalista" oggi non ha più nessun
seguito fra i teologi» risponde Gibellini. «Vi è poi l'estremo opposto,
rappresentato da Schillebeeckx, per cui la resurrezione sarebbe il prodotto
dell'esperienza di commozione profonda che hanno avuto gli apostoli. E infine vi
è una via media che si può identificare con Walter Kasper».
La vita media, cioé i moderati
Su questa via media conviene gran parte della teologia cattolica? «Sì, la
cristologia di Kasper (Gesù il Cristo, Queriniana) ha avuto enorme circolazione,
è un testo tradotto in tutte le lingue, che raggiunge una sintesi eccezionale.
Direi è un'opera che fa testo, che rappresenta il modo in cui la teologia
cattolica oggi riflette sulla resurrezione».
Gibellini si riconosce anche lui nella «via media». Cosa dice Kasper? Sui
racconti del sepolcro vuoto, per esempio: che non sono «racconti storici», ma
«testimonianze della fede». Inoltre: «Gli enunciati della tradizione
neotestamentaria della resurrezione di Gesù non sono affatto neutrali: sono
confessioni e testimonianze prodotte da gente che crede». «Le testimonianze
sulla resurrezione parlano di un avvenimento che trascende la sfera di tutto ciò
che si può storicamente constatare... ciò che è storicamente accertabile non è
la resurrezione, ma soltanto la fede che i primi testimoni ebbero in essa». E
Gesù che appare fisicamente ai suoi? «Questi racconti vanno dunque interpretati
alla luce di quanto essi vogliono esprimere, nel loro carattere cioè di
legittimazione della fede pasquale... Le apparizioni non sono eventi riducibili
ad un piano puramente oggettivo. Chi ne fa esperienza non è l'osservatore
distaccato e neutrale... questo loro "vedere" è stato reso possibile dalla
fede».
C'è anche in Kasper un'istintiva ripugnanza al materialismo dei racconti
evangelici «dove si parla di un Risorto che viene toccato con le mani e che
consuma pasti coi discepoli... A prima vista potrebbero sembrare affermazioni
piuttosto grossolane, che rasentano il limite delle possibilità teologiche e che
corrono il pericolo di giustificare una fede pasquale troppo "rozza"». Sono
accettabili solo se si va oltre la lettera, per ciò che i loro autori volevano
esprimere... Anche nel Catechismo per adulti dei vescovi tedeschi, redatto
appunto da Kasper, si legge: «Ogni racconto testimonia la comune fede pasquale
delle comunità... Sia le narrazioni, talvolta un pò drastiche, dei pasti
consumati con il Risorto, sia i racconti a riguardo della tomba vuota, intendono
esprimere simbolicamente la corporeità della resurrezione di Gesù».
E' questa la «seconda innocenza» sopravvenuta dopo venti secoli cristiani. Ma
c'è chi parla di truffa intellettuale. Padre Daniel Ols, dell'Angelicum,
segretario della Società San Tommaso, ci dice: «Non ha senso dire che la
resurrezione non è un fatto storico. Un fatto che non sia storico non è un fatto
(anche se, chiaramente, la resurrezione è un mistero che oltrepassa la storia)».
Con un pò d'ironia e un pò di amarezza conclude: «E poi non c'è niente di nuovo:
i protestanti-liberali già un secolo fa sostenevano queste idee. E merce trita e
ritrita. Deriva dall'errore idealista per cui il cristianesimo è una dottrina:
tutto il resto è solo un rivestimento mitico che ha per scopo di far capire
verità intemporali o norme di azione. L'importante sarebbe comprendere i
significati. Dei fatti che ne sono veicoli possiamo anche fare a meno». Infatti
per Drewermann la resurrezione è un'immagine che c'insegna a confidare
«nell'amore di Dio più forte della morte». «Ma sono i fatti che sono opera di
Dio!» ribatte Ols.
Lo smarrimento dei cristiani semplici è grande, perché purtroppo anche ai preti
nei seminari e nei corsi di aggiornamento vengono insegnate tali teorie e quindi
la predicazione domenicale ne risente. Peggio però se si tratta di cattolici
impegnati, più a contatto con i dottori. Qualche tempo fa su una rivista dei
padri passionisti del santuario di San Gabriele fu pubblicata una lettera
firmata B.Z., da Napoli: «Sto frequentando un corso di teologia per laici»
diceva il lettore. «Arrivati a studiare la resurrezione di Cristo, mi si sono
confuse le idee. Il professore, un teologo abbastanza noto tra noi, ha
cominciato a distinguere tra fatti storici e fatti di fede, tra dati oggettivi
ed esperienza personale degli apostoli. Non ci capisco più niente e sento
distrutta la mia fede... Insomma, è vero o non è vero che Gesù è risorto?».
|
|