C'è dunque come il
polarizzarsi dell'attenzione, il vertice di un'attesa, improbabile per le
consuete categorie storiche, proprio attorno agli anni in cui Gesù appare.
Il popolo d'Israele considera la fine dell'indipendenza politica e medita su
Giacobbe che afferma che il Cristo tanto atteso verrà poco prima che "lo scettro
sia tolto da Giuda".
Gli esseni lanciano dal deserto il loro appello a raggiungerli, per attendere
nella penitenza e nella preghiera Colui che deve venire. E ne calcolano con
sconcertante approssimazione la data.
Nelle pianure della Mesopotamia, astronomia e astrologia si uniscono per
stabilire che un Messia verrà dalla Giudea a dominare il mondo e stabiliscono
che il suo regno comincerà dall'anno che sarà indicato impropriamente come
settimo avanti Cristo.
Nei quartieri popolari dell'Impero Romano c'è fermento: anche tra i pagani
l'attesa è viva e si appunta verso Israele. L'eccitazione è tale che i solenni
storiografi dei fasti cesarei non disdegnano di raccoglierne gli echi.
È dunque un fatto storico provato: inspiegabilmente, l'attenzione del mondo si
concentra nel primo secolo verso la lontana provincia romana. E qui, la fede
nell'annuncio dei profeti e nell'interpretazione che ne danno i dotti è tale che
non si esita a rivoltarsi contro i romani: padroni del mondo ma ancora per poco,
pensano i ribelli. Sta per giungere colui che assoggetterà anche l'onnipotente
impero.
La storia sembra dunque dare enigmatica testimonianza alla parola che gli
evangelisti attribuiscono a Gesù: "I tempi sono maturi, l'ora della salvezza è
giunta".
Lo scorrere delle vicende umane ha come un attimo di sospensione e pare
raccogliersi nella trepidazione dell'attesa. Mentre brilla sulla Palestina la
stella, Augusto dà al mondo uno dei pochissimi periodi di pace della storia. Le
porte del tempio di Giano, patrono degli eserciti, sono chiuse: è la «pax
romana».
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