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LA MEDITAZIONE (2/3)
Era l con tutto il suo peso, immobile, silenzioso, sotto il sole, era una cosa sola con la montagna. La sua nozione del tempo era completamente cambiata. Le montagne hanno un altro tempo, un altro ritmo. Essere seduto come una montagna avere l'eternit davanti a s e l'atteggiamento giusto per colui che vuole entrare nella meditazione; sapere che c' l'eternit dietro, dentro e davanti a s. Prima di costruire una chiesa, doveva essere "pietra", e su questa pietra (questa imperturbabile solidit della roccia) la divinit poteva costruire la sua chiesa e del corpo dell'uomo fare il suo tempio. cos che comprendeva il senso della parola evangelica: "Tu sei pietra e su questa pietra edificher la mia Chiesa". Rimase cos parecchie settimane; la cosa pi dura era passare ore e ore "a far niente". Bisognava imparare di nuovo ad "essere", semplicemente, essere, senza scopo ne motivo. Meditare come una montagna era la meditazione stessa dell'Essere, "del semplice fatto di essere", prima di ogni pensiero, di ogni piacere e di ogni dolore. Padre Serafino lo andava a trovare ogni giorno, condividendo con lui i suoi pomodori e qualche oliva. Malgrado questo regime cos frugale, il giovane sembrava aver preso peso. La sua andatura era pi tranquilla. Sembrava che la montagna gli fosse entrata nella pelle. Sapeva prendere tempo, accogliere le stagioni, mantenersi tranquillo e silenzioso come una terra a volte arida e dura, ma anche, certe volte, come un versante di collina che attende il raccolto. Parimenti, meditare come una montagna aveva modificato il ritmo dei suoi pensieri. Aveva imparato a "vedere" senza giudicare, come se avesse dato a tutto ci che cresce sulla montagna, il "diritto di esistere". Un giorno, alcuni pellegrini, impressionati dalla qualit della sua presenza, scambiandolo per un monaco gli chiesero una benedizione. Egli non rispose, imperturbabile come la pietra. Avendolo saputo, la sera stessa Padre Serafino cominci a bastonarlo di santa ragione. Allora il giovane cominci a lamentarsi. "Ti credevo diventato stupido come i ciottoli della strada. La meditazione esicastica ha il radicamento, stabilit nella montagna, ma il suo fine non di fare di te un ceppo morto bens un uomo vivo". Prese il giovane uomo per il braccio e lo condusse al fondo del giardino dove fra le erbe selvatiche si poteva vedere qualche fiore. "Ora, non si tratta pi di meditare come una montagna sterile, impara a meditare come un papavero, ma non dimenticare per questo la montagna.".
La meditazione innanzi tutto un mettersi tranquillo, immobile, ed ci che la montagna gli aveva insegnato. Ma la meditazione anche "orientamento", ed ci che gli avrebbe insegnato ora il papavero. Volgersi verso il Sole, volgersi dal pi profondo di s verso la Luce. Farne l'aspirazione di tutto il proprio sangue, di tutta la propria linfa. Questo orientarsi verso il bello, verso la Luce lo faceva talvolta diventare rosso come un papavero; come se la "bella Luce" fosse quella di uno sguardo che gli sorridesse e da lui attendesse qualche profumo.Dal papavero apprese ugualmente che, per persistere nel suo orientamento il fiore deve avere "lo stelo eretto". Cominci allora a raddrizzare la colonna vertebrale. Questo gli procur qualche problema, perch in certi testi della Filocalia aveva letto che il monaco doveva disporsi leggermente curvo. Qualche volta perfino con dolore. Lo sguardo rivolto verso il cuore e le viscere. Chiese spiegazioni al Padre Serafino. Gli occhi del Padre lo guardarono con malizia: " questo valeva per i robustissimi uomini di una volta. Essi erano pieni di energia e occorreva riportarli un poco all'umilt della loro condizione umana. Curvarsi un po' nel tempo della meditazione non gli faceva certo male.tu piuttosto, avendo bisogno di energia, nel momento della meditazione raddrizzati, sii vigile, tieniti diritto verso la Luce, ma sii senza orgoglio. d'altronde, se osservi bene il papavero, esso ti insegner non soltanto la dirittura dello stelo, ma anche una certa flessibilit sotto le ispirazioni del vento e poi anche una certa umilt". In effetti, l'insegnamento del papavero si trovava anche nella sua fugacit e fragilit. Bisognava imparare a fiorire, ma anche ad appassire. Il giovane comprese meglio le parole del profeta: "Ogni uomo come l'erba e tutta la sua gloria come un fiore del campo. Secca l'erba, appassisce il fiore. Le nazioni sono come una goccia in un secchio. I signori della terra sono appena piantati, appena i loro steli hanno messo radici nella terra seccano e l'uragano li strappa via come paglia" (Is 40). La montagna gli aveva dato il senso dell'eternit, il papavero gli insegnava la fragilit del tempo: meditare e conoscere l'Eterno nella fugacit dell'istante, un istante diritto, bene orientato. In altre parole, fiorire il tempo che ci dato di fiorire, amare il tempo che ci dato d'amare, gratuitamente, senza perch, senza per chi. Per che cosa fioriscono i papaveri? Impar cos a meditare "senza scopo ne interesse", per il piacere d'essere e di amare la Luce. "L'amore ricompensa a se stesso", diceva San Bernardo. "La rosa fiorisce perch fiorisce, senza un perch", diceva ancora Angelo Silesio. "E' la montagna che fiorisce nel papavero, pensava il giovane. E' tutto l'universo che medita in me. Possa io arrossire di gioia per tutta la durata della mia vita". Senza dubbio questo era troppo. Padre Serafino cominci a scuotere il filosofo e di nuovo lo prese pere un braccio. Lo trascin per un sentiero scosceso fin sulla riva del mare, in una piccola insenatura deserta. "Smettila di ruminare come una mucca il buon significato dei papaveri. Abbi anche il cuore marino. Impara a meditare come l'oceano".
Il giovane si avvicin al mare. Aveva acquisito un buon modo di stare seduto ed un portamento eretto. Era in buona posizione. Che cosa gli mancava Che cosa poteva insegnargli lo sciacquio delle onde Si alz il vento. Il flusso e il riflusso del mare si fecero pi profondi e ci lo fece pensare; Padre Serafino gli aveva consigliato di meditare come "l'oceano" e non come il mare. Come aveva fatto ad indovinare che il giovane aveva passato lunghe ore in riva all'Atlantico, soprattutto la notte, e che gi conosceva l'arte di accordare il proprio respiro al grande respiro delle onde Inspir, espir, poi: sono inspirato, sono espirato. Mi lascio portare dal respiro, come ci si lascia portare dalle onde. Cos, faceva portato dalla respirazione oceanica. Ci l'aveva condotto talvolta sull'orlo di strani deliqui, ma la goccia d'acqua che una volta "si dileguava nel mare" oggi custodiva la propria forma, la propria coscienza. Era l'effetto della postura Del suo radicamento alla terra? Non era pi portato dal ritmo profondo della respirazione. La goccia d'acqua conservava la propria identit e tuttavia sapeva di "essere una" con l'oceano. cos che il giovane uomo impar che meditare respirare profondamente, abbandonare al suo corso il flusso e riflusso del respiro. Apprese ugualmente che, se vi erano delle onde in superficie, il fondo dell'oceano rimaneva tranquillo, i pensieri vanno e vengono come schiuma, ma il fondo dell'essere rimane immobile. Meditare a partire dalle onde che siamo, per lasciarsi annegare e mettere radici nel fondo dell'oceano. Tutto ci diventa in lui ogni giorno un poco pi vitale, ed egli ricordava le parole di un poeta che l'avevano segnato al tempo della sua adolescenza: "L'esistenza un mare pieno di onde. Di questo mare la gente comune non percepisce che le onde. Guarda come dalle profondit del mare, innumerevoli onde salgono in superficie, mentre il mare rimane nascosto dalle onde". Oggi il mare gli sembrava meno "nascosto dalle onde", l'unicit di tutte le cose gli pareva pi evidente, e ci non aboliva la molteplicit. Egli aveva minor bisogno di contrapporre il fondo e la forma, il visibile e l'invisibile. Tutto costituiva l'oceano unico della vita. Nel fondo del suo respiro non c'era forse la "Ruah"? Il "Pneuma"? il grande respiro di Dio? "Colui che ascolta attentamente la sua respirazione, gli disse allora il vecchio monaco Serafino, non lontano da Dio. Ascolta chi giace al limite della tua aspirazione. Ascolta chi si trova al principio della tua inspirazione". Effettivamente, c'erano al principio e alla fine di ogni respiro, alcuni secondi di silenzio, pi profondi del flusso e riflusso delle onde, c'era qualcosa che l'oceano sembrava portare.
"Essere in una buona posizione, avere un comportamento eretto verso la Luce, respirare come l'oceano non ancora la preghiera esicastica, gli disse Padre Serafino. Tu devi imparare ora a meditare come un uccello", e lo condusse in una piccola cella accanto al suo eremitaggio, dove vivevano due piccole tortore. Il tubare di quelle bestiole gli parve dapprima incantevole, ma, poco dopo, cominci ad infastidirlo. In effetti sceglievano sempre il momento in cui cadeva nel sonno per tubare nelle pi tenere efusioni. Chiese al vecchio monaco che cosa significava tutto ci e se quella commedia doveva durare ancora a lungo. La montagna, l'oceano, il papavero li aveva accettati suo malgrado (per quanto si chiedesse che cosa vi fosse di cristiano in tutto questo), ma proporgli adesso questi languidi volatili come maestri di meditazione, era veramente troppo. Padre Serafino gli spieg che nell'Antico Testamento la meditazione espressa con dei termini della radice "haga", reso pi sovente in greco da mlt meletan, e in latino da meditari meditatio. Nel suo senso primitivo la radice di questo termine significa "mormorare a mezza voce". usata parimenti per designare grida d'animali, ad esempio il ruggito del leone (Is.31,4), il pigolio della rondine ed il canto della colomba (Is.38,14), ma anche il brontolio dell'orso. "Al monte Athos non ci sono orsi. per questo che ti ho condotto dalle tortore, ma l'insegnamento il medesimo. Bisogna meditare con la gola, non soltanto per accogliere il respiro, ma anche per mormorare, giorno e notte, il nome di Dio. Quando sei felice, canti, quasi senza accorgertene qualche volta mormori parole senza significato, e quel mormorio fa vibrare tutto il tuo corpo di gioia semplice e serena. Meditare e mormorare come la tortora, lascia salire in te quel canto che viene dal cuore, cos come hai imparato a lasciar salire in te, il profumo che viene dal fiore.
Senza troppo soffermarmi per il momento al suo significato, ti
propongo di ripetere, mormorare, canticchiare ci che nel
cuore di tutti i monaci dell'Athos:
Ci non piaceva troppo al giovane filosofo. In occasione di certe messe di matrimonio o di funerale, aveva gi sentito quell'invocazione, tradotta con "Signore piet". Il monaco Serafino sorrise: "Si, questo uno dei significati di tale invocazione, ma ve ne sono ben altri. Vuol dire anche: "Signore manda il tuo Spirito.! Che la tua tenerezza sia su di me e su tutti, che il tuo Nome sia benedetto", ecc. Ma non cercare troppo d'impadronirti del significato di questa invocazione, esso ti si riveler da s. Per il momento sii sensibile e attento alla vibrazione che esso suscita nel tuo corpo e nel tuo cuore. Cerca di armonizzarla quietamente con il ritmo del tuo respiro. Quando i pensieri ti tormentano, ritorna dolcemente a quell'invocazione, respira pi profondamente, tieniti diritto e immobile e incomincerai a conoscere un inizio di "esichia", la pace di Dio d senza lesinare a coloro che lo amano. A capo di alcuni giorni il "Kyrie eleison" gli divenne un poco pi familiare. Lo accompagnava come il ronzio accompagna l'ape quando fa il miele. Non sempre lo ripeteva con le labbra. Allora il ronzio diventava pi interiore e la sua vibrazione pi profonda. Il "Kyrie eleison", di cui aveva rinunciato a "cogliere" il senso, lo conduceva talvolta in un silenzio sconosciuto. Si trovava nello stato d'animo dell'apostolo Tommaso quando vide il Cristo risorto. "Kyrie eleison, mio Signore e mio Dio". L'invocazione lo immergeva poco a poco in un clima di rispetto intenso verso tutto ci che esiste, ed anche di adorazione per ci che nascosto e si trova alla radice di ogni esistenza. Padre Serafino allora gli disse: "Adesso non sei lontano dal meditare come un uomo. Debbo insegnarti la meditazione di Abramo".
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A.C.R.O. - Gruppo di Studi Rosacrociani di Roma -
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