PER COLORO CHE PIANGONO I LORO
MORTI
(di Max Heindel)
"Felici quelli che piangono, perché essi saranno consolati" (Matteo 5:4).
Queste parole, espresse dal Gran Confortatore che visitò la Terra oltre
duemila anni fa, vengono alla mente di tutti noi, durante le festività
della Pasqua, che porta allegria a milioni d'uomini; poiché l'Umanità si
sta risvegliando ogni giorno più, al suo vero scopo.
La Pasqua che si celebrò una volta per pochi cristiani, non è più,
oramai, solo una festività cristiana. Non è riservata solo a coloro la
quale accettano il pane ed il vino consacrati dalle mani dei loro
sacerdoti. Si è trasformata in un gran giorno d'allegria per le genti di
tutte le nazioni e per i seguaci di tutte le religioni; perfino per chi
non è mai entrato in una chiesa.
Si è trasformata in un'abitudine, tanto che, i popoli che vivono nei
distretti rurali come quelli delle città, scelgono una collina dove
collocarvi una croce e, nell'allegro giorno di Pasqua, si riuniscono in
preghiera fraternamente, in comunità, senza discriminazione di razza,
credo o colore; e, in nome del più grande Spirito che abbia mai abitato un
corpo fisico, adorano lo Spirito Universale, offrendogli lodi e
ringraziamenti per la vita e per la luce, che fu il suo compito, nel
grande schema di Dio.
Questo spirito universale dell'allegria si esprime, precisamente, nel
giorno che ci porta alla memoria un uomo inchiodato su di una croce, che
mostra all'Umanità un viso contratto per il dolore ed un corpo umano, che
va sperimentando l'agonia della morte. Perché deve gioire l'Umanità, in un
giorno collegato alla memoria di un tale atto di brutalità, accaduto oltre
duemila anni fa
Il buon pastore dà la vita per
le sue pecore
L'uomo, nella propria, insufficiente conoscenza e nella sua vaga
comprensione della giustizia di un Padre amoroso, ha trasformato la
propria tomba in un oscuro sepolcro, qualcosa che produce paura, ed in una
"fine" per tutte le sue aspirazioni ed ambizioni.
Durante il procedere della sua età, ha temuto questo termine della
propria esistenza fisica ed ha fatto di questo, un tempo d'intenso dolore,
un periodo stracolmo di lacrime. Ma, quel grande Spirito che aveva potere
sulla vita e la morte, permise di essere crocefisso. Venne sulla Terra con
questo fine. Può pertanto sorgere la seguente domanda: se affermiamo che
Gesù il Cristo, aveva pieno potere sulla Sua vita, perché permise che si
perpetrasse contro di lui quelle grandi indegnità e crudeltà e perché non
si liberò da se stesso, da quella morte indegna e crudele
Nella parabola del "Buon Pastore", in Giovanni 10, Gesù disse ai suoi
uditori: "Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la vita per le sue
pecore. Per questo motivo mio Padre mi ama, perché io dono la mia vita per
riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma io la do volontariamente.
Sta nella mia mano staccarmi da lei ed è nella mia mano recuperarla.
Questo è l'incarico che mi ha dato il Padre".
C'è un'altra affermazione fatta dal Cristo, dopo la crocifissione, dopo
avere sperimentato la morte sulla croce, quando ritornò dai mondi
spirituali per riunirsi con i suoi discepoli. Nel capitolo 28 di Matteo,
versetto 18, di nuovo proclama di avere quel potere: "E Gesù arrivò e
disse loro: mi è stato dato ogni potere nel cielo e sulla Terra".
La vita dopo la vita
Il Signore sCristo venne sulla Terra ad impartire agli uomini una
speciale lezione e, essendo destinato ad essere il Salvatore dell'Umanità,
la lezione più importante che poteva insegnare era quella della fede. Fede
nel Suo Dio e fede, in una vita dopo la morte. Con la sua morte, doveva
portare all'uomo il convincimento e la persuasione di una vita successiva
dopo di lei.
Predicò l'immortalità e, per imprimere quel fatto nell'Umanità, dovette
passare per i dolori della morte per ritornare alla vita e portare
all'uomo la prova di un'esistenza post-mortem. E per completarlo, apparve
ai suoi amati discepoli nel suo corpo spirituale. Nella I lettera ai
Corinzi, S.Paolo dice: "Dopo di che apparve insieme ad oltre cinquecento
fratelli; dei quali molti vivono ancora, mentre altri sono morti". Camminò
e conversò con loro affinché credessero che quello che Egli aveva
predicato, l'immortalità dell'anima, era un fatto e che, quando l'uomo
abbandona il suo corpo fisico, continua a vivere in un corpo più sottile
ed etereo.
Anche Paolo porta all'uomo molta speranza di una vita dopo la morte,
nel quinto capitolo della II lettera ai Corinzi, versetto 1 e 2, afferma:
"sappiamo, che se il nostro rifugio terrestre, questa attività di
campagna, precipita, abbiamo un edificio che viene da Dio, un rifugio
eterno nel cielo, non costruito da uomini; e, in realtà, per quel motivo
sospiriamo, per l'anelito di rivestirci della dimora che viene dal cielo."
Nel quindicesimo capitolo della I lettera ai Corinzi, di nuovo predica
a quelli che non credono nella vita dopo la morte. Questo meraviglioso
capitolo si rivolge per la maggior parte ai sacerdoti nel proporzionare
fede e consolazione a chi si sente spogliato della perdita di un essere
amato: "Si semina un corpo animale; resuscita un corpo spirituale. Se c'è
un corpo animale, c'è anche uno spirituale."
Durante l'antica dispensazione ed attraverso tutto l'Antico Testamento,
l'uomo aveva molta poca speranza di una vita dopo la morte. Per lui, la
tomba metteva fine a tutto. Possiamo verificare questa disperazione,
quando leggiamo il nono capitolo dell'Ecclesiaste, versetto quinto, dove
si legge": I vivi sanno che devono morire; ma i morti non conoscono
niente, non ricevono un salario, se ne dimentica il loro nome".
L'uomo è stato fatto ad immagine di
Dio
Gli insegnamenti Rosacrociani proclamano che l'uomo è uno spirito
immortale, fatto ad immagine di Dio; questo perché è detto, nel versetto
26 del capitolo primo della Genesi, che Dio disse: "Facciamo l'uomo a
nostra immagine e somiglianza." Pertanto, se Dio è spirito e l'uomo è
fatto a sua immagine, possiamo affermare con certezza che l'uomo non può
morire, oppure, che se muore definitivamente, con lui morrebbe anche una
parte di Dio.
Qualcuno può immaginare un Grande Spirito che crea un essere come
l'uomo, a sua immagine e, dopo una breve vita, permetta che egli muoia
Marcirebbe tale uomo, non potrebbe mai arrivare ad essere egli stesso un
creatore, come Dio lo destinò ad essere, se una sola vita terrestre
costituisse tutta la sua esistenza e se, quando avesse vissuto i suoi
settanta anni, uscisse dalla stessa, senza nessuna possibilità di arrivare
ad essere perfetto, com'è perfetto il suo Celeste Padre?
Se ci si sofferma a riflettere su quest'argomento, ci si convince che
anche l'uomo deve continuare ad evolversi, acquistando cognizioni, col
fine di giungere ad essere onnisciente come lo è suo Padre che è nei Cieli
e, che questo, non può certo realizzarsi in una sola vita, composta
d'alcune, misere, decine di anni. Per comprendere appieno le lezioni della
Terra, nella quale Dio gli diede potere, l'uomo deve volgere da una vita
ad un'altra e, in ogni incarnazione, deve caricare, con la sua croce di
materia, il proprio corpo fisico.
L'uomo deve imparare, mediante il suo corpo fisico a trasformarsi in un
creatore come suo Padre che è nei cieli. Questo è lo strumento che
utilizza nei suoi sforzi per apprendere le numerose lezioni della vita,
col fine, d'essere riconoscente come figlio, verso il suo celestiale
Padre. Ma quest'utensile, il corpo fisico, s'invecchia ed esaurisce; ed è
necessario dare allo spirito un tempo per poter digerire ed assimilare
tutta l'esperienza acquisita nella Terra. Per questo motivo, Dio ha
disposto che lo spirito esca dal suo vecchio, consunto abbigliamento e
funzioni nel suo corpo spirituale.
Quando ciò accade, l'uomo, con la sua limitata visione delle cose, si
affligge per il cambiamento occorso e gli appare, come un distacco finale,
il fatto che il vecchio e consunto vestito di un essere amato, si
disintegri, non comprende che egli possa continuare a funzionare in un
abito o corpo più eterico, nel quale non sia limitata la distanza, né la
materia fisica sia una barriera insormontabile per il suo spostamento.
Questo è il corpo spirituale del quale parla San Paolo nella II°
lettera ai Corinzi, un edificio fatto dalle mani degli uomini, eterno nei
cieli. In quel veicolo, i nostri cari trapassati possono visitarci e,
benché ora, nella nostra attuale cecità, ancora non disponiamo della vista
spirituale per percepirli, per tale motivo non sono di certo meno vicino a
noi. Essi seguono interessati il nostro benessere e, quando abbiamo
bisogno di loro, non falliscono; c'incoraggiano e ci aiutano, molto più di
quello che crediamo, benché con la nostra afflizione, possiamo ostacolare
il loro progresso, in quella nuova vita alla quale sono stati chiamati.
Quando un uomo cade in un profondo sonno ed il suo corpo fisico rimane
inerte sul letto, egli è ben sveglio ed attivo nel regno dello spirito. Il
suo corpo fisico non è più un ostacolo. Tuttavia, rimane unito ad esso
mediante il Cordone di Argento, che lo riconduce di nuovo al suo corpo, al
risveglio. Durante l'incoscienza del sonno, si sta nel paese dei morti che
vivono e, se lo si desidera, si può comunicare con i propri cari defunti,
che sono sempre vicini a noi.
Lo studente della Fraternità Rosacrociana, ha la certezza di avere
sempre vicino a se i propri cari, che sono passati dal mondo visibile a
quello che, comunemente, è chiamato "morte", e non si affligge come chi
non possiede la speranza. Sa che i suoi cari non si sono mai allontanati
da lui, ma, come dice John McCreery nel suo poema "non esiste la morte":
non sono morti. Non hanno fatto altro che passare oltre le nebbie, che nel
mondo materiale, accecano, ad una nuova e superiore vita, ad una sfera più
serena.
La Vita è immortale
La conoscenza acquisita dagli studenti di questi avanzati insegnamenti,
ha fatto sparire il pungiglione della morte, perché essi comprendono che,
chi ha abbandonato i suoi corpi mortali, non è morto, ma sta godendo la
libertà della vita nei mondi spirituali. Sono convinti, che Dio non ha
creato la casa dell'anima umana, né ha inspirato lo spirito umano, con
fede ed amore, per poi precipitarlo nella morte, per distruggere l'opera
delle sue mani. L'uomo è l'opera maestra di Dio e, come tale, questa
scintilla della divinità, fatta a Sua immagine, non può morire.
Altrimenti, sarebbe distrutta, anche una parte importante di Dio stesso.
Cristo venne volontariamente sulla Terra per rinchiudersi in un corpo
fisico, sapendo che il risultato di questa Sua scelta, sarebbe stato il
compimento della speranza e della fede nell'Umanità. Dovette morire e
resuscitare per dimostrare all'uomo che la morte, era solo una
manifestazione fisica, la liberazione di uno spirito divino.
Venne per un'Umanità accecata dalla paura della tomba e per la quale
questa, era un abisso, che inghiottiva e faceva sparire lo spirito. Trovò
che la morte era il re delle paure umane e comprese, che solo Egli poteva
restituire all'uomo la fede in una vita immortale, proponendogli la
certezza di essere uno spirito glorificato.
Egli lasciò queste confortanti parole, che portano sollievo e fede a
chi crede in Lui: "Non siate agitati; credete in Dio e credete anche in
me. La casa di mio padre ha molte stanze. Se così non fosse, vi avrei
forse detto che vado a prepararvi un posto E quando sarò andato e vi avrò
preparato un posto, ritornerò e vi prenderò presso di me; così, dove io
sarò, starete anche voi" (Giovanni 14: 1-3).